
Rapporto fra Liturgia e Regno
di Georgios I. Karalis
Nell’affrontare tale tema1, affiorano subito alcune domande: che cos’è il Regno di Dio? Il Regno di Dio è creato o in- creato? Quale relazione intercorre fra creato e increato e qual’è la loro diffe- renza?
Massimo il Confessore insegna: «Quando Dio ci dona per grazia qualsiasi cosa che ap- partenga a Lui per natura, questo è il Regno di Dio».
Per i Padri orientali, pertanto, il Regno di Dio non è una realtà creata, ma la vita increata di Dio che viene donata a noi per grazia, perché possiamo partecipare ad essa.
Sennonché la vita che Dio possiede non può mai essere compresa da nessun essere umano, perché non esiste, in questo caso, nessuna analogia.
L’uomo può capire il mondo creato, ma non può capire la realtà increata di Dio. Questo però non significa che egli non possa partecipare alla realtà in- creata. Ogniqualvolta Dio rapisce l’uomo con la sua grazia, lo introduce nella Sua vita increata, dove vede e ode “verbi indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare”2.
Possiamo così comprendere come nella vita increata di Dio – a cui, nel futuro, tutti parte- ciperemo – non possano esistere strutture, perché esse sono caratteristiche del mondo creato che non sussi- sterà per sempre. Tutto il mondo invecchierà, cadrà, scomparirà e sorgeranno nuovi cieli e una nuova terra. Ma questi nuovi cieli e questa nuova terra non saranno un’altra realtà creata, ma la stessa vita increata di Dio.
L’uomo è predestinato ad unirsi con il suo Creatore e a vivere la vita increata di Lui. Per questo egli è stato creato e a questo è stato preordinato. Tutti gli uomini, sia buoni sia cattivi, sono predestinati a vivere l’unione con Dio. Ma tale unione per alcuni sarà pienezza di vita, per altri sarà invece “fuoco che brucia”. L’uomo, nella vita presente, si prepara per poter vivere, nel futuro, l’amore che Dio dona a tutti non come inferno, ma come paradiso.
Ci addentriamo così nell’eucarestia, il santo e immacolato mistero del Signore, citando alcuni brani del santo Padre Giovanni Damasceno. «Dio buono, buonissimo e superbuono essendo interamente buono, a causa della smisurata ricchezza della sua bontà non si accontentò che il bene, e cioè la sua natura, fosse solo e non partecipato da nessuno. Ma proprio per questo creò dapprima le potenze spirituali e celesti, poi il mondo visibile e sensibile, poi l’uomo, costituito di spirituale e sensibile. Quindi tutte le cose fatte da Lui partecipano alla sua bontà… Da parte sua l’uomo, essendo razionale e libero, ricevette il potere di essere unito continuamente a Dio mediante la sua propria scelta, se fosse rima- sto nel bene ossia nell’obbedienza al Crea- tore. Ma poiché egli trasgredì al comando di Colui che lo aveva creato, e cadde sotto la morte e la corruzione, allora il Fattore e Creatore del nostro genere “per le viscere della sua misericordia” si fece simile a noi, diventando uomo sotto ogni riguardo escluso il peccato, e si unì alla nostra natura. E poiché egli ci aveva partecipato la sua propria immagine e il suo proprio Spirito, ma noi non li avevamo custoditi, allora egli assunse parte della nostra natura povera e debole per purificarci, per renderci immor- tali e per stabilirci di nuovo partecipi della sua divinità»3.
L’uomo cade, si ammala; la Chiesa può dunque parlare di malattia dell’uomo. La malattia consiste nella passione della personalizzazione. Ossia l’uomo personalizza la propria natura e così la distrugge. Cominciano a vivere e a prosperare le passioni. Le passioni, nel pensiero dei Padri, si distinguono in: 1) passioni naturali, che sono conseguenza del peccato di Adamo, come la fame, la sete, la fatica, il dolore, le lacrime, la corruzione,la volontà di evitare la morte, l’agonia di fronte ad essa, la natura debole che necessita l’aiuto degli angeli e altre che naturalmente sono proprie agli uomini; 2) passioni innaturali, che sono collegate con la volontà personale dell’uomo e da quella dipendono, come “dove” mangiare, “cosa” mangiare, “quando” e “quanto” mangiare, la paura della morte dell’uomo che non crede in Dio e altre, scelte e nutrite personalmente dall’uomo.
Con la passione della personalizzazione si interrompe la comunione con Dio, come pure la comunione fra cuore e intelletto. L’energia spirituale, nell’uomo della caduta, parte dal cuore ma si ferma nel cervello, organo di percezione ed elaborazione dei dati, e si confonde con i pensieri che esso contiene; non ritorna, poi, intatta, come do- vrebbe, nel cuore; vi ritorna, invece, nella forma di pensieri. L’uomo, in questo modo, ipertrofizza l’intelletto. Più egli si appropria della sua natura, più l’intelletto diviene ipertrofico.
Dall’altro lato, però, l’uomo non riesce ad appropriarsi del tutto della sua natura. Il “profondo” gli sfugge, rimane fuori del suo campo di azione; l’uomo si riempie così d’insicurezza e si trova in balia di forze istintive distruttive e del diavolo. Più egli cerca di appropriarsi della propria natura, e più si spacca in due parti: in una interiorità non del tutto o per niente con- trollata, indipendente, irrazionale, spaven- tosa, generatrice di incertezze e di vuoto esistenziale, e in una parte conscia, razionale, logica, che aspira al predominio. Si crea in questo modo un conflitto che sfocia dap- prima nella malattia e poi nella morte. L’uomo non ha la forza di controllare la sua profondità inconscia; quando dunque gli si presenta l’occasione, quest’ultima prende il sopravvento su tutto. Così l’individuo abbandona se stesso in balia di un universo tenebroso popolato di forze irrazionali, di po- tenze incomprensibili, d’insicurezze, di vuoti esistenziali. La ragione perde la sua egemonia e ad essere ipertrofizzata è la parte irrazionale, illogica, piena di paure e di vissuti rimossi.
Cristo è l’Uomo Nuovo che, in quanto tale, non presenta questa malattia. Egli assume le passioni naturali dell’uomo, perché assume, per santificarla, l’intera natura umana. Non ha però le passioni innaturali. Ma anche per ciò che riguarda le passioni naturali, Egli non si è unito ipostaticamente con esse e a Lui non si sono imposte. Dopo la sua resurrezione, infatti, le elimina comple- tamente dalla nostra natura. Il Cristo pasquale non mangia per fame, né beve per sete, ma, secondo il piano di salvezza, per certificare la verità della resurrezione, per dimostrare, cioè, che la carne risuscitata era quella stessa che aveva patito.
Per questo Cristo è l’esempio da seguire, l’archetipo dell’uomo, il Nuovo Adamo. Nello stato fisiologico in cui Egli vive, l’energia spirituale si muove ciclicamente. Cioè origina dal cuore, arriva al cervello, poi torna di nuovo al cuore e ripete questo processo. Tale movimento ciclico unifica il cervello con il cuore, in un unico centro che possiamo chiamare “enosis”, unione fra cervello e cuore, fra spirito e materia. Questo vale per Cristo, la primizia della nostra natura; ma vale anche per ogni uomo che lo voglia, si faccia discepolo di Lui e si lasci plasmare dalla Sua grazia. In che modo? Seguendo quale cammino? Percorrendo quali tappe?
La purificazione, anzitutto, che è la continua lotta contro le passioni innaturali. L’uomo deve distaccarsi da ogni preoccupazione, da ogni realtà che lega l’anima al mondo, deve cioè morire al mondo, morire e rinascere. Gli strumenti che garantiscono questo processo sono tanti, ma i più importanti risultano i seguenti: la sottomissione ad un direttore spirituale che ha attraversato questa lotta ed ha vinto, ed è quindi abilitato dallo Spirito per questo suo ministero di “padre”; la preghiera continua; i sacramenti che la Chiesa ci offre. Essi sono: il Battesimo che ci purifica perché rigenera con una se- conda nascita, e il nutrimento nuovo, l’Eucaristia, adatto alla nuova generazione.
Per questo l’uomo ringrazia Dio, da cui il nome di Eucaristia che in greco significa “ringraziamento”. Nell’Eucaristia continua la purificazione personale iniziata con il Battesimo: se il peccato, come abbiamo visto, proviene dalla scelta personale (la cosiddetta “volontà gnostica”), la quale distrugge e disgrega la natura buona donata da Dio, il fedele non deve fare scelte personali, che sono caratteristiche del primo Adamo, ma obbedire a Cristo. «Poiché, essendo stati generati da Adamo, siamo stati resi simili a lui ere- ditando la maledizione e la corruzione, così generati anche da Cristo, diveniamo simili a Lui ereditando la sua immortalità, la sua be- nedizione e la sua gloria»4.
L’Eucaristia comincia con la frase cantata dal prete: “Benedetto è il Regno del Padre, del Figlio e del Santo Spirito”. Tutti i fedeli che vi prendono parte, infatti, possono, a seconda del loro li- vello di maturazione spirituale, partecipare al Regno increato di Dio. La condizione per una tale partecipazione è che essi debbono essere creature nuove, rinate dallo Spirito, cioè rinate dall’alto. Per conservare, poi, o per ritrovare l’innocenza battesimale sono necessari la lotta personale, il combattimento con le passioni innaturali, lo sforzo per tra- sformarle in passioni naturali. Osserviamo così che, nell’Eucaristia, tutte le preghiere conducono pian piano alla purificazione dai pensieri personali. In questo modo anche tutti i sensi si liberano dalla logica di questo mondo, cioè dalla logica personale, della ca- duta. Si deve solo seguire ciò che l’ esperienza della Chiesa indica.
È deprecabile, negativo, per non dire distruttivo, l’ atteggiamento di chi partecipa all’ Eucaristia e mantiene i propri pensieri ben radicati in questo mondo. «Poni Signore una custodia alla mia bocca. Pensa che la lingua è il membro con il quale parliamo a Dio e con il quale cele- briamo le lodi. È il membro con il quale rice- viamo il tremendo sacrificio. I fedeli sanno bene ciò che sta dicendo. È necessario, per- tanto, che la lingua si libera da ogni accusa, maledizione, parola oscena e calunnia. Se qualche pensiero impudico c’incalza, dobbiamo soffocarlo dentro di noi, senza per- mettergli di giungere alle nostre labbra. An- che se il tuo animo esasperato ti porta a nutrire rancori, devi estirpare anche questa ra- dice: la porta sia custodita e ben guardata, senza permettere che all’interno possano nascere cattivi pensieri; ma se nascono, bisogna soffocarli all’interno stesso ad estiparne la radice»5.
Così la struttura dell’Eucaristia, il testo dei canti, le melodie, gli occhi che vedono le icone ma anche il vescovo, i preti, i diaconi vestiti con tanto splendore, l’odorato che percepisce il profumo dell’incenso, il gusto che assapora il corpo e il sangue del Signore, tutto questo ti conduce in una realtà dove l’”io” cessa di esistere e il suo posto viene preso dal “noi”, noi che siamo Chiesa, noi che siamo Cristo, noi molti che siamo l’unico, il nuovo Adamo. L’unico modo per diventare partecipi di questa realtà è lasciarsi guidare dalla Chiesa: devi obbedire a tutto ciò che essa ti comanda.
Infatti, durante la liturgia, ci sono momenti in cui tutti sono seduti, ci sono momenti in cui tutti si alzano in piedi (la domenica nessun fedele si deve in- ginocchiare, per testimoniare, anche con il corpo, la risurrezione di Cristo6). Così, nella santa liturgia ortodossa, sentiamo il diacono impartire ordini: “orthoi!”, ad esempio, cioè “alzatevi in piedi!”, e tutti obbediscono. Il fe- dele, inoltre, prima di accostarsi alla comunione, deve digiunare. Inoltre, il digiuno penitenziale ortodosso non è un digiuno completo, ma un’astinenza da determinati cibi. Non perché alcuni cibi siano buoni e altri cattivi, ma perché, anche nel digiuno, non siano fatte scelte personali e si combattano dunque le passioni innaturali. «Pensa, o uomo, quale grande dignità conse- gui; e poiché tu stesso sei divenuto tempio, pensa con quanta purezza è giusto che debba presentarti! Come manifesterai la tua purezza? Se scaccerai ogni cattivo pensiero; se farai in modo di chiudere ogni ingresso della tua mente alle azioni del demonio; se, come si fa nei santi templi, perseveri nel rendere bella la tua anima. Infatti, se nel tempio giudaico non era consentito a tutti entrare in qualsiasi luogo, ma vi erano molte e varie divisioni, in quanto vi era una parte assegnata ai proseliti, un’altra ai Giudei ai quali era stata data fin dall’inizio, un’altra ai sacerdoti, un’altra al sommo sacerdote (e questi non poteva entrare sempre ma una sola volta all’anno); pensa allora quanta san- tità è necessario che tu abbia in te stesso, dal momento che hai ricevuto dei simboli ancora più grandi di quelli che essi ricevettero nel Santo dei Santi. Ad abitare in te, infatti, non tieni i Cherubini, ma il Signore degli stessi Cherubini, non hai né arca né manna né le tavole di pietra e neppure la verga di Aronne, ma il corpo e il sangue del Signore, lo Spirito al posto della lettera, la grazia che supera ogni umano pensiero, hai un dono inenarrabile»7.
2) L’illuminazione è uno stadio collegato con la purificazione. Infatti, più una persona purifica il suo spirito e il suo cuore, più viene illuminata; tutte le passioni innaturali, allora, sono trasformate in naturali. In questo stadio ritroviamo i carismi di cui parla Paolo nella sua prima epistola ai Co- rinzi (12, 28): «Alcuni, perciò, Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assi- stenza, di governare, delle lingue». Vengono elencati tanti carismi, a cominciare dalle lin- gue, il carisma più basso, fino agli apostoli e ai profeti, che sono i carismi più alti. I cari- smi che partono dal dono delle lingue (fino agli apostoli e ai profeti esclusi) apparten- gono allo stato d’illuminazione, mentre i due ultimi – profeti e apostoli – allo stato di glori- ficazione, che esamineremo tra poco. Le pre- ghiere e i salmi che si sentono nell’eucaristia vengono – dallo Spirito – incessantemente portati nel cuore, a partire dalla mente, insieme con l’energia spirituale liberata dalla mente. Arrivano nel cuore, ritornano nella mente e si ripete questo movimento ciclico che unifica cuore e mente in un unico centro. Il cervello continua la propria funzione, mentre lo Spirito prega nel cuore senza distrazioni ed interruzioni.
A questo punto il fedele comincia ad avere una comprensione più profonda dell’Eucaristia. Afferra meglio lo spazio e il tempo liturgico. I simboli che si usano e che sollecitano i sensi vengono intesi o, per esprimermi meglio, vengono vissuti dall’uomo interiore, nel profondo. Si guar- dano i simboli, ma si capisce che la realtà del Regno di Dio non ha niente in comune con questi simboli, li trascende, li supera. Vedi Cristo nel volto del vescovo, lo onori, lo contempli nelle icone, nel Pantocratore raffi- gurato nella cupola centrale, che ti chiama a salire verso il cielo. La celebrazione eucaristica nel tempio ti dà l’ impressione che i santi, i morti, i vivi, Cristo, la Madonna, tutti, vivano nello stesso tempo il tempo di Cristo e che quanti si trovano “sotto” parlino, can- tino, festeggino assieme a quelli che si tro- vano “in alto”.
Ma tutta questa realtà, che tu vedi ancora con i simboli, la vivi nel tuo cuore e perciò cominci a comprenderla. Tale processo trasforma il laico in tempio dello Spirito e membro del corpo di Cristo. Questo è solo l’inizio della liberazione del fedele dalla schiavitù dell’ambiente: non parliamo di fuga dall’ambiente, perché non può mai avverarsi; è invece possibile soltanto un con- trollo su di esso. A questo punto, poiché an- che la passione della personalizzazione cessa di esistere, l’uomo non cerca di sfruttare l’ambiente e il prossimo per scopi egoistici e narcisistici, ma ama con un amore che non cerca la soddisfazione personale, che non cerca la reciprocità e “il proprio interesse”. “Amiamoci gli uni gli altri, per poter confessare tutti concordi…”, dice il prete nella liturgia ortodossa, prima che i fedeli professino la stessa fede, cioè il simbolo niceno-costantinopolitano. Tutto questo ci fa capire che solo nell’amore cristiano esiste la vera unità della fede. E l’unità della fede è di estrema importanza: per questo il simbolo della fede viene recitato da tutti prima dell’ anafora. Quanti non hanno l’unità della fede vengono esclusi dalla celebrazione eucaristica. I catecumeni in questo momento escono dalla chiesa su ordine del diacono che dice: «Le porte, le porte! Con Sapienza stiamo attenti». State attenti alle porte del tempio, guardate che non entri qui chi non ha la stessa vita, chi non ha lo stesso amore che non conosce li- miti, chi non ha la stessa confessione di fede.
Per questo gli ortodossi non partecipano o non concelebrano l’Eucaristia con persone che non hanno la loro stessa unità di fede. «Perciò nella celebrazione del mistero eucaristico noi ci abbracciamo gli uni con gli altri; pur essendo molti, diventiamo una sola persona; eleviamo inoltre comuni preghiere per i non iniziati, per gli infermi, per i frutti del mondo intero, per la terra e per il mare. Vedi quanto è grande la forza della carità nelle preghiere, nella celebrazione dell’Eucaristia e nelle esortazioni? Essa è la causa di tutti i beni.
Se con diligenza cerchiamo di possederla, gestiremo il presente in maniera giusta e ci prepareremo a guadagnare il Regno, che – il Cielo lo voglia! – tutti possiamo ottenere con la grazia e la benevolenza di nostro Si- gnore Gesù Cristo, per mezzo del quale e con il quale al Padre sia la gloria, assieme allo Spirito Santo, nei secoli dei secoli Amen»8.
3) Lo stadio dell’illuminazione tuttavia non è quello definitivo. La fase successiva è la glo- rificazione, che è la meta finale: la visione di Dio, la visione di Cristo risorto. Il discorso di Paolo non si conclude con la Resurrezione e la Pentecoste. L’Apostolo, infatti, continua: «Apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In se- guito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apo-stoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto»9. La perpetua presenza di Cristo nel suo popolo, fra quelli che sono ar- rivati a tale stadio di perfezione, sembra es- sere l’elemento più importante nell’evangelo di Paolo. Questa verità continua in tutta la tradizione orientale fino ai nostri giorni. Le persone che sono pervenute alla glorifica- zione sono in grado, nelle sinassi eucaristi- che, di avere una visione di Cristo nello Spi- rito. Quando si trovano lì, non vedono l’ora di mangiare assieme a Cristo il nutrimento che Egli spezza e offre con le proprie mani. Poiché Lui è Colui che offre, ma anche Colui che viene offerto.
La trasmissione delle preghiere, per opera dello Spirito Santo, dalla mente al cuore, equivale al rinnovamento dell’uomo in una nuova creazione, e tuttavia si tratta soltanto di una visione “come in uno specchio, in maniera confusa”10. Ciò viene riferito all’ il- luminazione. Quando però l’uomo arriva alla glorificazione, egli vede “faccia a fac- cia”11. Nello stadio dell’illuminazione esi- stono “la fede, la speranza e l’amore”12, ma nello stadio della glorificazione “le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà, la scienza svanirà”13, mentre “l’amore non avrà mai fine”14. Nello stadio dell’illumina- zione il fedele è come un bambino, imper- fetto, ma nello stadio della glorificazione il fedele diventa un adulto, attinge alla perfe- zione. «Quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato»15. Quando Paolo afferma: “Ora conosco in modo imperfetto”16, si riferi- sce allo stadio dell’illuminazione. Con la frase seguente: “Ma allora conoscerò perfet- tamente, come anch’io sono conosciuto”, egli ci vuol dire che verrà glorificato, come in ef- fetti lo è stato.
Questa glorificazione segna, come abbiamo visto, l’acquisizione dei carismi più alti tra quelli che Paolo cita nella sua epistola17. Su tali carismi si basa anche la Chiesa. Essi sono, in altre parole, il fondamento della Chiesa. “Il vostro edificio ha per fondamento gli apostoli e i profeti, mentre Cristo Gesù stesso è la pietra angolare”18. Il carisma della profezia e dell’apostolicità, collegati con la visione di Dio, non solo uni- ficano il cuore e l’intelletto in un centro che abbiamo chiamato enosis, caratteristica dello stadio dell’illuminazione, ma ottengono la terapia completa dell’uomo, uomo che viene così affrancato dalla passione della personlizzazione. I fedeli che sono giunti a questo stadio si conoscono tra loro completamente perché, cessando di esistere la loro appro- priazione sulla natura, non hanno un pen- siero personale, non hanno una volontà per- sonale, non hanno una energia personale, ma hanno il pensiero, la volontà e l’energia di Cristo. A questo punto conoscono natural- mente anche gli altri, perché hanno gli stessi pensieri che dovrebbe avere l’altro, la stessa volontà, la stessa energia. Quando dunque vedono il loro fratello che prega con loro nell’Eucaristia non dicono: “Ecco, lui è un altro”, ma dicono: “Ecco, lui sono io. Per tali persone non esiste nulla che possa dividere, non esistono diversità culturali, non esistono di-versità razziali, non esistono neanche diver- sità naturali, perché esse hanno la stessa natura risorta di Cristo: «Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù»19.
A questo punto, l’amore, da amore interessato, che persegue la reciprocità, diviene un “amore che non cerca il proprio interesse”, che non ha bisogno della reciprocità, ossia della risposta dell’altro, ma ama nella stessa maniera in cui ama il Dio Trinitario. Nella lingua della teologia si dice che la persona glorificata partecipa della stessa vita della Trinità: l’uomo viene assunto nel Regno in- creato di Dio, lì dove non esiste nessuna analogia con il mondo creato.
Tale carisma è la massima aspirazione per tutti i cristiani e tutti possono e debbono raggiungerlo. Per questo Paolo spinge tutti i fedeli a pervenire a simili vette: “Aspirate pure anche ai doni dello Spirito, soprattutto alla profezia”20. Tutti i cristiani cercavano di arrivare a que- sto stadio, ma non tutti ci riuscivano. Se però qualcuno lo raggiungeva, ciò provocava una grande gioia anche negli altri membri, i quali potevano beneficiare di questo carisma, dal momento che la passione della personalizza- zione o veniva eliminata del tutto o veniva da essi combattuta: “Se un membro è glorifi- cato, tutte le membra gioiscono con lui” 21. Su questi carismi si fondava la Chiesa ed essi – i fedeli illuminati e divinizzati – erano abilitati da Dio a celebrare i santi e immacolati misteri del Signore. Erano scelti per diven- tare vescovi, preti, successori degli apostoli. Lo conferma anche Paolo nel suo discorso «Non sono libero io, non sono un apostolo,non ho visto il nostro Signore Gesù Cristo?». Ignazio d’Antiochia definiva l’Eucaristia “farmaco dell’immortalità, antidoto contro la morte”22. Se l’Eucaristia è farmaco, deve essere amministrata da medici, non da pseudomedici, non abilitati dallo Spirito di Dio. Per questo i Padri consigliavano di non fare la comunione assieme agli eretici e di non dare le cose sante ai cani, cioè alle persone che non avevano mai imboccato la via della purificazione, illuminazione e divinizza- zione. «Perciò con ogni forza guardiamoci dal prendere o dal dare partecipazione con gli eretici – “Non date le cose sante ai cani”, dice il Signore, “e non gettate le vostre perle davanti ai porci” – , affinché noi non diven- tiamo partecipi della loro falsa dottrina e della loro condanna!»23. Giovanni Criso- stomo continua: «Cristo aggiunge anche questo precetto: “Non date le cose sante ai cani”… Ma poi obietti, in seguito alla do- manda: “Quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti”. Ebbene, questo comandamento non è contrario al precedente, in quanto il Signore non ordina che si predi- chi a tutti, indistintamente, ma ci si rivolga con libertà a coloro ai quali si deve parlare. In questo caso egli chiama porci quelli che vivono in uno stato di empietà incurabile e nei quali non vi è speranza alcuna di muta- mento in meglio. Chiama porci coloro la cui condotta di vita è sempre intemperante: tutti costoro sono indegni di ricevere l’ insegna- mento…» 24.
Cristo ha purificato, illuminato e glorificato i suoi Santi Apostoli; li ha fatti rinascere, e per questo ha stipulato la nuova alleanza con loro: «Nel piano superiore, nella santa e glo-riosa Sion, mentre mangiava la Pasqua con i suoi discepoli, dopo aver adempiuto all’ an- tico Patto lava i piedi dei discepoli porgendo il simbolo del santo battesimo. Poi, spezzato il pane, lo diede a loro dicendo: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”, spezzato per voi in remissione dei peccati. Simil- mente, avendo preso il calice di vino e di ac- qua, ne partecipò a loro dicendo: “Bevete tutti da esso: questo è il mio sangue della nuova Alleanza, che è versato per voi in re- missione dei peccati; fate questo in memoria di me. Infatti ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Figlio dell’uomo e proclamate la Sua risurrezione, finché egli venga”.
Dunque, se “la parola di Dio è viva ed efficace” e “tutto ciò che vuole il Signore lo compie”…, non potrebbe fare suo corpo il pane e suo sangue il vino e l’acqua?… Ma tu chiedi: “Come il pane diventa corpo di Cri- sto e il vino e l’acqua diventano sangue di Cristo?”. E allora anch’io ti dico: “Lo Spirito Santo sopravviene, e fa queste cose superiori alla parola e al pensiero”. Sono impiegati il pane e il vino perché il Signore conosce la debolezza umana (infatti questa il più delle volte si allontana scontenta dalle cose che non sono praticate abitualmente); e quindi, impiegando la sua solita condiscendenza, attraverso le cose comuni della natura fa cose superiori alla natura… Così egli – poiché gli uomini hanno l’abitudine di mangiare pane e di bere acqua e vino – congiunse con questi la sua divinità e li fece suoi corpo e sangue, affinché mediante le cose solite e conformi alla natura noi ci trovassimo fra le cose superiori alla natura. Il corpo è real- mente unito alla divinità – ed è il corpo nato dalla santa Vergine –, ma non perché lo stesso corpo che fu assunto in alto discende adesso dal cielo, bensì perché il pane e il vino stessi sono trasformati nel corpo e nel sangue di Dio. Setu ricerchi il modo, e cioè come avvenga, ti basti sapere che avviene mediante lo Spirito Santo, così come il Signore mediante lo Spi- rito costituì carne a se stesso e in se stesso nella santa Madre di Dio»25. Giovanni Damasceno, come del resto tutti i Padri della Chiesa, parla di metabolê, “trasformazione”, e non di transustanziazione.
I Padri insistono, inoltre, nel dire che l’uomo non potrà mai capire questo mistero, che in- vece va vissuto con l’esperienza. Per spiegare le differenze dei termini usati in Oriente e in Occidente a proposito dell’ Eu- caristia, bisogna ricordare alcune cose sul termine transustanziazione, ossia cambia- mento di sostanza. Questo termine è aristo- telico. Aristotele affermava che le specie sono diverse dalla sostanza delle cose. La sostanza permane anche se le specie si separano o sono assenti. Il pane e il vino, ad esempio, sono composti da diverse specie quali il peso, la lunghezza, il colore, la consi- stenza ed altre. Aristotele pensava che se noi eliminiamo queste specie dal pane e dal vino rimane la sostanza del pane e del vino. Su questo modello filosofico i teologi della Sco- lastica si sono basati per formulare la teoria della transustanziazione, che afferma quanto segue: nell’Eucaristia le specie del pane e del vino rimangono le stesse ma, con le parole pronunziate dal prete, la sostanza – che è di- versa dalle specie – si cambia e diventa il corpo e il sangue di Cristo. Tale teoria non solo si basava sulla citata supposizione di Aristotele, che poteva anche non essere ac- cettata da tutti, ma racchiudeva il pericolo di idolatria. Se la sostanza del pane e del vino cambia, mentre le specie rimangono quelle del pane e del vino, si può ritenere che lo stesso corpo di Cristo che ha patito, è risorto, è divinizzato ed è salito al cielo scenda e sia contenuto nel pane e nel vino26.
In questo modo non esiste una diversità fra Cristo che spezza il pane per darlo da mangiare ai di- scepoli e lo stesso pane. Conseguenza di tutto ciò: l’unico modo che si ha per vedere Dio è il pane e il vino dell’Eucaristia27. Il Dio- uomo rimane allora invisibile e incapace di apparire se non sotto le specie del pane e del vino. Per questo nell’Occidente si è svilup- pata l’adorazione dei doni eucaristici. Preoc- cupato di dare una spiegazione logica a quello che succede al pane e al vino e meno interessato alla comunione – koinonia –, all’incontro eucaristico dell’uomo con Dio, l’Occidente assolutizza l’Eucaristia nella Chiesa e finisce per celebrare solo l’ Eucari- stia tutti i giorni, perché le altre forme di preghiera ecclesiale vengono meno.
Per la teologia dei Padri la teoria della transustanziazione non può essere accettata. Gregorio di Nissa aveva la seguente posizione: le realtà pensate sono qualità e in quanto prodotte dalla volontà di Dio, compongono l’estensione e la forma della mate- ria. Senza di loro la forma visibile della ma- teria non esiste. Ogni qualità si separa come idea dalla materia. Ma anche ogni idea è un prodotto della mente e non è corporale. Noi vediamo, ad esempio, che molte sono le realtà che costituiscono l’animale. Ognuna di queste realtà viene considerata assieme all’ animale, ma viene anche distinta da esso perché non si confonde con esso. La qualità del colore è diversa dalla qualità del peso e la qualità del quanto è diversa da quella che noi percepiamo con il tatto. La mollezza e la lunghezza non si confondono né tra loro né con il corpo che compongono. Ma se fosse possibile detrarre ogni qualità materiale ca- ratteristica del corpo, allora tutta la sua na- tura si dissolverebbe o finirebbe nella non esistenza. Per questo, sottolinea Gregorio, l’incontro delle specie produce il corpo natu- rale, e la loro mancanza o detrazione de- compone il corpo.
Si può qui osservare la differenza rispetto alla filosofia tomista della sostanza, la quale esisterebbe e permarrebbe anche in assenza delle specie. Per questo, secondo il pensiero che esprime Gregorio sulla materia, non può essere accettata la teoria della transustanziazione dal mondo ortodosso, perché, quando si sottraggono le specie della materia, non permane la sostanza dei corpi. Sarebbe come accettare che il sacramento dell’Eucaristia viene celebrato su una sostanza che non esiste. Adesso cerchiamo di spiegare il concetto di metabolê di cui parlano i Padri greci.
Il Damasceno, abbiamo visto, insiste nel ricono- scere che le specie eucaristiche sono real- mente corpo e sangue del Signore, e su que- sto punto sono d’accordo tutti i Padri della Chiesa. «Il pane e il vino non sono una figura del corpo e del sangue di Cristo (non avvenga!), ma lo stesso corpo divinizzato del Signore, poiché egli stesso ha detto “Questo è il mio corpo” e non “figura del corpo” e neanche “figura del sangue” ma “il sangue”. 28. Come possiamo allora capire tutto ciò? Non usando la logica. La logica, da sola, non può fornire spiegazioni. Ci è sufficiente sapere che nell’Eucaristia è presente il Signore. E’ lui che spezza il pane, e ci da il vino. Tutto quello che il Signore offre con la Sua potente mano destra in realtà è lo stesso Signore. Il pane e il vino siccome le riceviamo dalle mani del Signore che è presente non sono inferiori al Signore, sono il suo corpo e il Suo prezioso sangue. Antica credenza cristiana è che se prendiamo il pane e il vino dalla mano destra del Signore allora e solo allora il pane e il vino diventano corpo e sangue del Signore. Non perché si incarna di nuovo il Signore, ciò è impossibile, ma perché tutto quello che mi da Dio è Dio. Per questo San Giovanni Crisostomo spiega: “Πρόσχες Κύριε Ἰησοῦ Χριστέ, ὁ Θεὸς ἡμῶν, ἐξ ἁγίου κατοικητηρίου σου καὶ ἀπὸ θρόνου δόξης τῆς βασιλείας σου, καὶ ἐλθὲ εἰς τὸ ἁγιάσαι ἡμᾶς, ὁ ἄνω τῷ Πατρὶ συγκαθήμενος καὶ ὧδε ἡμῖν ἀοράτως συνών· καὶ καταξίωσον τῇ κραταιᾷ σου χειρὶ μεταδοῦναι ἡμῖν τοῦ ἀχράντου Σώματός σου, καὶ τοῦ τιμίου Αἵματος, καὶ δι’ ἡμῶν παντὶ τῷ λαῷ.» ” stia attento Signore, Dio nostro,dalla santa tua dimora e dal trono della Tua gloria, e vieni per santificarci, tu che siedi sopra insieme al Padre ed sei presente invisibilmente qua; e degnaci di ricevere dalla tua potente mano il tuo incontaminato corpo e l’onorato Tuo sangue per donargli, tramite noi, a tutto il popolo” e continua: “Il mistero eucaristico non è opera di umano potere. Colui che lo ha celebrato allora, in quella famosa cena,lo opera anche oggi.Noi fungiamo solo suoi ministri, perché è Lui stesso a santificare e a trasformare le offerte…Questa poi è una messa per nulla inferiore all’altra, nel senso che mentre Cristo prepara questa, l’uomo invece quella. No; ma è il Signore che le prepara entrambe…“
L’ Eucaristia ha una struttura che è caratteristica del mondo creato. Si usano le icone, la distinzione fra pastori e popolo, mentre in realtà uno solo è il pastore. Adesso possiamo capire perché il vescovo nella teologia orto- dossa viene indicato come “figura” e “luogo” di Cristo e il prete “figura” e “luogo” del vescovo. Il vescovo diventa l’icona di Cristo e viene venerato nell’ Eucaristia, ma, come per l’icona, la venerazione non viene attribuita alla persona del vescovo, ma viene riferita a Dio. Il vescovo è figura di Cristo, e questo perché non tutti i fedeli sono pervenuti allo stato di glorifica- zione, per cui hanno bisogno di vedere Cristo o nell’icona o nel volto del vescovo nell’Eucaristia. Il vescovo, da parte sua, dovrebbe essere scelto tra le persone glorificate o tra le persone illuminate, o almeno tra quelle che si trovano nello stato di purifica- zione, per poter guidare i fedeli all’unione con Dio tramite Cristo, ma anche per poter prescindere da tutti gli onori che gli sono ri- servati e capire che non sono suoi, non di- pendono dai suoi meriti, ma sono solo di Cristo. Ogni Eucaristia celebrata ti rende partecipe della totalità della Chiesa, della Chiesa cattolica, cioè universale.
Il Cristo è l’universalità della Chiesa. Dove Egli è presente, apre il tempo, spalanca lo spazio. Il tempo diventa una perennità e lo spazio di- venta Cristo e il Suo Regno. Certo, le persone che si trovano in questi due stadi vedono confusamente queste analogie, ma le vivono nel loro cuore, lì dove tutte le preghiere eu- caristiche sono trasportate dalla mente. Pos-siamo affermare che vedono Cristo tramite le preghiere e lì, nel cuore, sentono la Sua pre- senza perché lì arriva lo Spirito che apre le loro menti: per questo possono anche capire determinate cose, ma possono altresì ren- dersi conto che la realtà creata e tutta la struttura di cui si fa uso non ha niente in comune con la realtà increata del Regno di Dio. Nello stato di glorificazione, però, il fedele è giunto alla visione di Cristo, perché ha eli- minato tutte le passioni sia naturali sia in- naturali, con l’aiuto del Santo Spirito che apre completamente gli occhi e li rende ca- paci di tale visione.
A questo punto il fedele è in grado di vedere il Signore; si unisce all’assemblea per vedere Cristo e per mangiare insieme a Lui. Il cibo eucaristico che prende da Cristo glorifica il glorificato. Egli perviene all’eschaton, alla fine: non ha biso- gno di vedere Gesù tramite la sua icona. Possiamo dunque affermare che tale persona è assunta, dal Santo Spirito, nel Regno in- creato di Dio, in cui vede cose difficili da spiegare con le parole. Se nei primi due stadi esiste ancora una struttura creata, non vivi ancora il Regno di Dio nella sua forma in- creata, nello stadio finale della glorificazione il fedele è insieme a Cristo e unito con tutti i santi e con tutte le persone che sono morte in Cristo. Per questo Palamas, nel suo discorso sulla Trasfigurazione, vede la Trasfigura- zione come l’immagine della Chiesa. I disce- poli caduti in terra simbolizzano i vivi che sono in grado di vedere Cristo. Il Cristo tra- sfigurato è il passato, il presente e il futuro escatologico, mentre Mosè ed Elia simboliz- zano i Santi che sono morti, ma che vivono in Cristo. Cristo unisce il passato e il pre- sente, ed è Lui il futuro, l’anticipazione esca- tologica. È Lui Colui che verrà, Colui che ci farà capire lo scopo di tutto. Per questo la persona glorificata vive nella realtà del Re-gno di Dio e vede le realtà increate che gli altri non possono vedere. Gli altri vedono solo come in uno specchio, in un modo con- fuso. Vivono la realtà del Regno solo con le immagini di questo mondo, mondo che non riuscirà mai a esprimere in modo perfetto quella realtà increata che tutti siamo desti- nati a sperimentare.
L’uomo glorificato riesce a mangiare insieme con Cristo e sa che Cristo è colui che spezza il pane e glielo offre perché anch’egli ne mangi. 2) Non dobbiamo mai dimenticare che ogni essere umano è predestinato a unirsi con Cristo. Nell’altra vita tutti vedranno il volto del nostro Signore e Salvatore. Ma questo volto che si vedrà, questa unione che si rea- lizzerà sarà pienezza di vita soltanto per quanti si trovano, adesso, in uno dei tre stadi citati. Per colui, invece, che non ha raggiunto né lo stadio di purificazione né lo stadio di illuminazione né lo stadio di glorificazione, questa unione con Dio diventerà un fuoco che lo brucia, un inferno. L’Eucaristia oggi è un mezzo che serve per unire l’uomo con Dio. È un mezzo che ha uno scopo sublime per coloro che già vivono in uno dei tre stadi dell’esistenza cristiana, ma che, per chi non si trova in nessuno dei tre, diventa pericoloso.
Chi indegnamente mangia il corpo e beve il sangue di Cristo mangia e beve la propria condanna. «Ma perché dici, mangia e beve la propria condanna? Perché non riconosce il corpo del Signore. In altri termini, chi si comunica indegnamente, non vaglia, non esamina come si conviene la grandezza dei beni proposti e non riflette sull’ eccel- lenza dei doni. Infatti se tu imparerai a cono- scere bene chi è Colui che ti è posto dinanzi e, sapendo chi è, a chi egli si dona, allora non avrai bisogno di nessun’altra parola di esor- tazione, ma ciò ti sarà sufficiente per rima- nere completamente sobrio, a meno che la tua condizione spirituale non sia del tutto disastrosa. “È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti”. Qui l’apostolo non adduce esempi tratti da altre situazioni, come ha fatto sulle vittime immolate agli idoli, nar- rando storie antiche e gli stessi castighi rice- vuti dai padri del deserto, ma tratta degli stessi corinzi, cosa che peraltro rende più duro il suo discorso. Dicendo: “mangia e beve la propria condanna” e “è reo”, per non sembrare di parlare tanto per parlare, vi ag- giunge dei fatti e li chiama a testimoni. Ciò infatti li colpisce più di una minaccia, in quanto questa è presentata come già ope- rante in atto. E, non contento di questo, suc- cessivamente Paolo introduce il discorso della geenna e lo rende degno di fede. In questo modo egli incute terrore nei due sensi, e risponde agli interrogativi che da ogni parte gli si pongono. Infatti, poiché molti si chiedono tra loro da dove mai pro- vengono le morti immature e le lunghe ma- lattie, l’Apostolo risponde che molte cose inaspettate capitano a causa dei peccati»30.
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1 L’articolo riporta il testo della conferenza te- nuta dall’Autore al Monastero di Maguzzano
(Verona) il 4 ottobre 2004.
2 2 Cor 12, 4.
3 SAN GIOVANNI DAMASCENO, Esatta esposizi- one della fede ortodossa, IV, 13 – Intorno ai Santi e immacolati Misteri del Signore
4 Ibidem. [Traduzione adattata all’italiano].
5 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Salmo 141, 3 PG 55, 433.
6 La consuetudine d’inginocchiarsi la Dome- nica è stata imposta dai papi Onorio I e Gre- gorio X nel X secolo, epoca di grande diso- rientamento e ignoranza. Con ciò in Occi- dente si aboliva il senso di un obbligo statuito nel primo concilio ecumenico (Nicea – 325) e nel concilio trullano del 619. Alcune Chiese ortodosse hanno, in seguito, dimenticato que- sta venerabile consuetudine nell’onda di una moda occidentalizzante.
7 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, PG 55, 386.
8 ID., PG 59, 425-426.
9 1 Cor 15, 5-8.
10 1 Cor 13, 12.
11 Ibid.
12 1 Cor 13,13.
13 1 Cor 13, 8.
14 Ibid.
15 1 Cor 13, 10-11.
16 1 Cor 13, 12.
17 1 Cor 12, 28.
18 Ef 2, 20.
19 Gal 3, 28.
20 1 Cor 14, 1.
21 1 Cor 12, 26.
22 Lettera agli Efesini, 20, PG 5,661.
23 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, op. cit.
24 PG 57, 310-311.
25 SAN GIOVANNI DAMASCENO, op. cit.
26 È proprio questo significato che san Giovanni Damasceno esclude chiaramente nella precedente citazione.
27 Le conseguenze sono chiare e rivelano un concetto clericalista di Chiesa: viene esaltato il ruolo del sacerdote che “crea” un’esterna e oggettiva presenza di Cristo e sminuito quello dell’asceta che si prepara a vedere in sé una soggettiva presenza divina.
28 SAN GIOVANNI DAMASCENO, op. cit.
29 D’altronde, Cristo alla fine dei tempi non sarà solo nel pane e nel vino ma “tutto in tutti” (I Cor 15, 28). Nell’attesa di questo evento tutta la creazione geme in tensione verso la pienezza finale (Rom 8, 22).
30 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia 28 PG
61, 231-235.