Introduzione
Definizione di “sacramento”
Prima di trattare del matrimonio come sacramento, è opportuno specificare il significato fondamentale di questo termine.
Innanzi tutto sarà bene rilevare che la parola latina sacramentum è il corrispettivo del termine greco mysterion.
Nei testi veterotestamentari, letti in lingua greca, l’uso della parola mysterion è piuttosto raro e soprattutto ricorre nei libri più tardivi. Comunque là dove viene usata, il significato della parola è quello “di realtà nascosta” o, più precisamente, “l’azione salvifica in atto nel tessuto storico” e quindi di momento costitutivo nella storia della salvezza; nel nuovo testamento la parola mysterion ricorre più frequentemente; Gerolamo lo traduce in latino sedici volte con la parola sacramentum, mentre altre volte preferisce la parola mysterium. La duplice traduzione potrebbe insinuare che Gerolamo coglie negli scritti neotestamentari due significati diversi della parola, ma in realtà questa ipotesi non trova alcuna possibilità di una verifica concreta. Ad ogni modo, in nessun caso in cui la parola mysterium può essere tradotta con il termine sacramentum, sta a significare le celebrazioni rituali della chiesa che noi indichiamo con questa parola.
La chiesa delle origini non elabora il numero sette dei sacramenti. La teologia latina poi, come vedremo, ci da una trattazione scientifica sui sacramenti e trasmette i suoi contenuti con tale precisione terminologica e concettuale da aiutare a definire il numero sette dei sacramenti come lo conosciamo adesso, il quale viene anche adottato dalla chiesa ortodossa. La dottrina dei sette sacramenti appare per la prima volta – in modo molto caratteristico – nella professione di fede richiesta all’Imperatore Michele Paleologo da Papa Clemente IV nel 1267. Questa professione era stata preparata da teologi latini (Jusie, Theologia dogmatica Christianorum orientalim, III Paris 1930, 16). Molti Padri e teologi prima parlavano di due sacramenti (battesimo ed eucaristia, per la maggior parte), altri di tre (battesimo, cresima ed eucaristia), altri di otto (introducendo anche la tonsura monastica…).
Che cos’è un Sacramento per la chiesa cattolica?
Un sacramento è un segno evidente della benedizione di Dio, della fede religiosa e dell’appartenenza ecclesiastica.
Il sacramento è per la vita e non viceversa.
Nella sua radice, è innanzitutto il segno evidente di una benedizione che ci raggiunge e ci diventa accessibile.
Celebrato nella fede, il rito sacramentale iscrive la nostra esistenza nella forma della testimonianza di una benedizione che avvolge d’impensata tenerezza l’esistenza di ogni uomo e ogni donna che vengono in questo mondo ed è proprio in questo mondo che esso diventa il principio di una responsabilità che ci è chiesto di assumere.
I sacramenti sono veri segni della presenza e del disegno di Dio.
“ I sacramenti non solo suppongono la fede, ma – con le parole e gli elementi rituali – la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati “sacramenti della fede” (Sacrosantum Concilium, n. 59).
“Sono anche il luogo di una testimonianza di fede perchè richiamano gli avvenimenti di Dio in Cristo e li fanno rivivere ritualmente: in essi l’uomo inserisce tutta la sua vita e già pregusta la realizzazione del regno futuro che cresce e si sviluppa già negli eventi della storia presente”(Matias Augè “Liturgia. Storia, Celebrazione, Teologia e Spiritualità”, Ed. San Paolo S.r.l., 1992 Cinisello Balsamo – MI p. 94). Inoltre per San Tommaso D’Aquino i sacramenti sono un modo di proclamare la fede: “quaedam fidei protestationes” (Summa Theologica, III q.72 a.5, ad2).
I sacramenti non soltanto danno, ma anche racchiudono la grazia e sono dei veicoli, insieme strumenti della salvezza e salvezza stessa, esattamente come la Chiesa.
E per la Chiesa ortodossa…
“i mysteri” sono la possibilità di partecipare nel Regno di Dio (la Sua Vita Increata), anticipazione del compimento escatologico. Sono la possibilità di essere in Cristo e di partecipare alla vita divina. Lo stato naturale dell’umanità si manifesta essenzialmente nei “mysteri” della chiesa. Questi sacramenti-misteri più che atti isolati medianti i quali una “grazia particolare” è concessa a singoli individui attraverso ministri specialmente designati e operanti con intenzione retta, sono considerati come aspetti di un unico mistero della Chiesa, in cui Dio condivide con l’umanità la vita divina, redimendo l’uomo dal peccato e dalla morte e conferendogli la gloria dell’immortalità. Vengono anche chiamati “stampe” (anticipazione, potremo dire) delle realtà future, non perché non ti uniscono realmente con la grazia Increata di Dio, ma perché solo tramite essi partecipiamo alla divinità di Cristo (come fidanzati), mentre nel nostro futuro, parteciperemo totalmente e senza interruzioni tramite la visione diretta di Dio, come “sposati” con Lui.
I SEGNI E IL MYSTERION.
Per la Chiesa cristiana delle origini, anche se non viene elaborato il concetto di mysterion, questo non deve far concludere che non esistesse; la prassi sacramentale di quest’epoca, di cui abbiamo una ricchissima documentazione, potrebbe consentire l’individuazione di un concetto che, oltre tutto, è religiosamente più ricco e teologicamente più profondo di quello che sarà elaborato in alcune epoche posteriori. Resta comunque vero che si tratta di un concetto vissuto e non riflessamente elaborato. Del resto quando incomincerà ad emergere qualche sporadica riflessione sul fatto sacramentale in genere, gli scritti degli autori cristiani continueranno ancora per molto tempo a dimostrare la loro preferenza per uno studio dei singoli gesti sacramentali. Un primo accenno lo si riscontra nei padri apologisti i quali, nella polemica antignostica e antimanichea che si è sviluppata soprattutto in Oriente, difendono la tesi cristiana della bontà naturale anche delle cose sensibili, rifacendosi al fatto che sono largamente usate nelle celebrazioni in cui si attua la purificazione e la santificazione dell’uomo. In connessione a questo primo dato, apparirà ben presto l’affermazione che le celebrazioni cristiane comportano una duplice dimensione: una invisibile, costituita dall’azione divina santificatrice, e una visibile e sensibile, costituita dall’insieme del gesto rituale. Qualche decennio più tardi Tertulliano, mentre applica per la prima volta “sacramentum” ad alcuni riti cristiani (battesimo ed eucaristia), distingue anche all’interno della dimensione visibile del sacramento una duplice realtà “elementum e verbum” e attribuisce alla seconda, che è la parola di Dio, un ruolo determinante rispetto a quello meno importante delle cose. E’ in questo momento che si sente il bisogno di stabilire il rapporto che intercorre tra la dimensione visibile e quella invisibile: la scuola Alessandrina stabilisce che la dimensione visibile è un simbolo di quella invisibile. Ma, anche se l’affermazione degli Alessandrini viene accettata anche dagli ortodossi, la nascita della teologia del sacramento la dobbiamo ad Agostino e da lì parte la concezione latina. Agostino afferma che Sacramento è segno sacro (de Civ. Dei 10,5) e continua “Quando i segni si riferiscono alle realtà divine si chiamano sacramenti” (ep 138,7). Una definizione di segno che diventerà classica è la seguente: “Il segno è quella cosa che, oltre all’immagine che provoca nei sensi, fa venire in mente un’altra cosa diversa da se” (De Doctrina Cristi 2,1 PL 34, 35-36). L’insegnamento è che la significazione sacramentale è data dalla convergenza delle cose e della parola di Dio nel formare un unico segno. La parola di Dio dà il suo significato ultimo, oltre che efficacia santificatrice, al simbolismo naturale delle cose, accomunando la visione all’ascolto, dando la possibilità di recepire il significato della parola-promessa di Dio che si attua nel sacramento, non solo auditivamente, ma visivamente. “Si aggiunge la parola all’elemento materiale ed ecco il sacramento è una specie della parola visibile “(In Jo. 80,3 PL 35, 1840). Nella scolastica abbiamo l’elaborazione felice dei sacramenti: Piero Lombardo afferma “Una cosa si chiama sacramento in quanto è segno della grazia di Dio e forma della grazia invisibile così da esserne l’immagine e costituirne la causa” (LIb Sent IV, dist I, c 4). Intorno a questi due poli della riflessione di Lombardo, il segno-causa e la realtà significata e causata si eserciterà la teologia scolastica ed elaborerà il numero sette dei sacramenti. Esisterà un’interpretazione ilemorfica del segno presa da Aristotele: cioè attribuendo la funzione di materia alle cose sensibili usate nella celebrazione e la funzione di forma alle parole che accompagnano l’applicazione della materia al soggetto del sacramento. L’unità di segno e della significazione sarà data dal fatto che la forma con il suo potere di significazione più determinato e più determinante, specifica il significato meno determinato e più determinabile della materia. Questo aiuterà a precisare abbastanza dettagliatamente ciò che è indispensabile per la validità del sacramento e ciò che è richiesto per la liceità. Il processo di cosificazione dei sacramenti avrà inizio identificando gli elementi essenziali del sacramento nella materia e nella forma. La teologia dell’epoca non manchi a sottolineare che atti umani come la fede hanno un’importanza determinante ai fini della validità del sacramento. L’analisi della figura e del ruolo del ministro del sacramento, risulta altrettanto importante. Dalla concessione ilemorfica ne uscirà anche la questione dell’istituzione dei sacramenti da parte di Cristo.
Il secondo polo di interesse che la teologia sacramentale eredita dalla definizione del Lombardo riguarda la realtà significata e causata cioè la Grazia, la quale è una Grazia creata. Nella scolastica allora è innegabile che la riflessione teologica oltre a darci per la prima volta una trattazione scientifica sui sacramenti, ha saputo trasmetterci i suoi contenuti con tale precisione terminologica e concettuale da presentarsi con tutto il fascino di un discorso chiaro e persuasivo.
Nella Chiesa Ortodossa il sacramento è indicato con la parola “Mysterion”, ossia mistero. La parola mistero dà la possibilità di rendersi conto che i sacramenti non possono essere descritti come semplici meccanismi per la produzione della grazia, perché in realtà sono dei veri avvenimenti nei quali l’uomo è profondamente coinvolto e cambiato: il sacramento è un mistero perchè è un incontro della grazia di Dio (grazia Increata) con l’uomo, nella chiesa la quale essa stessa è un mistero. Il Dio Increato incontra l’uomo creato. Il mondo Increato che comunica con il creato. La Grazia Increata di Dio che rapisce l’uomo e lo porta al Regno di Dio, cioè alla Sua vita, alla Sua Gloria. Essi non sono mezzi di santificazione soggettiva, ma momenti di fondazione e di edificazione della Chiesa. Comprendono certo una celebrazione-ripensamento dei misteri di Cristo, ma sono una partecipazione nostra alla morte e alla resurrezione di Cristo. Oltre allora ad essere un memoriale dei misteri della vita di Cristo, sono essi stessi un evento misterioso, cioè un’incarnazione. Una nuova incarnazione “misteriosa” la quale diventa una verità difficile da comprendere e, praticamente, inaccessibile all’intelletto dell’uomo. La Chiesa Ortodossa non ha prodotto un’ulteriore elaborazione dei sacramenti. Ogni volta che la Grazia Increata incontra l’uomo avrebbe potuto essere per essa un sacramento. Il numero sette dei sacramenti lo prende dalla Chiesa Cattolica, come sette modi in cui la grazia Increata incontra l’uomo. Poi il numero mistico sette ha avuto un influenza positiva al riscontro ortodosso. Ma sono solo questi i sette modi? La teologia ortodossa non va oltre.
Sacramento del matrimonio
Vediamo allora come nel sacramento del matrimonio per la teologia ortodossa, si applica questo concetto di mysterion-avvenimento, che è inaccessibile all’intelletto dell’uomo.
San Giovanni di Damasco scrive: «Dio buono, buonissimo e superbuono essendo interamente buono, a causa della smisurata ricchezza della sua bontà non si accontentò che il bene, e cioè la sua natura, fosse solo e non partecipato da nessuno. Ma proprio per questo creò dapprima le potenze spirituali e celesti, poi il mondo visibile e sensibile, poi l’uomo, costituito di spirituale e sensibile. Quindi tutte le cose fatte da Lui partecipano alla sua bontà… Da parte sua l’uomo, essendo razionale e libero, ricevette il potere di essere unito continuamente a Dio mediante la sua propria scelta, se fosse rimasto nel bene ossia nell’obbedienza al Creatore. Ma poiché egli trasgredì al comando di Colui che lo aveva creato, e cadde sotto la morte e la corruzione, allora il Fattore e Creatore del nostro genere “per le viscere della sua misericordia” si fece simile a noi, diventando uomo sotto ogni riguardo escluso il peccato, e si unì alla nostra natura. E poiché egli ci aveva partecipato la sua propria immagine e il suo proprio Spirito, ma noi non li avevamo custoditi, allora egli assunse parte della nostra natura povera e debole per purificarci, per renderci immortali e per stabilirci di nuovo partecipi della sua divinità».
L’uomo cade, si ammala; la Chiesa può dunque parlare di malattia dell’uomo. La malattia consiste nella passione della personalizzazione. Ossia l’uomo si appropria della propria natura e così la distrugge. Mentre ogni natura ha una volontà, una libertà, un movimento, un pensiero, un atto che è comune a tutti gli esseri umani, l’uomo se ne appropria e lo fa diventare personale. Così spacca la natura, la separa: cosicchè ogni essere umano ha volontà, pensieri, atti diversi, contrapposti e in guerra fra di loro.
Facciamo un esempio per capire meglio: due persone sono in aereo e si muovono. L’aereo ha il proprio movimento e li porta a destinazione, (verso Dio, per esempio). Il movimento è dell’aereo e non delle persone che vi siedono sopra. All’improvviso Adamo (una delle persone che è seduto in aereo) si alza e fa un’atto di pirateria: dice all’aereo, non andrai dove è la tua destinazione, ma dove voglio io… Cosa fa Adamo? Si appropria del movimento dell’aereo e lo fa diventare il proprio. Il movimento non è suo, ma dell’aereo (della natura), ma lui se ne appropria e lo fa apparire personale e lo stesso fa Eva (l’altra persona che è seduta sull’aereo). Cosi l’aereo si spacca e abbiamo tanti aerei (se riusciamo a cogliere la similitudine…) con movimenti diversi e contrastanti. Si spacca l’unità e l’Uomo – un uomo con miliardi di persone – diventano esseri umani in guerra fra di loro.
Cominciano a vivere e a prosperare le passioni. Le passioni, nel pensiero dei Padri, si distinguono in: 1) passioni naturali, che sono conseguenza del peccato di Adamo, come la fame, la sete, la fatica, il dolore, le lacrime, la corruzione, la volontà di evitare la morte, l’agonia di fronte ad essa, la natura debole che necessita l’aiuto degli angeli e altre che naturalmente sono proprie agli uomini; 2) passioni innaturali, che sono collegate con la volontà personale dell’uomo e da quella dipendono, come “dove” mangiare, “cosa” mangiare, “quando” e “quanto” mangiare, la paura della morte dell’uomo che non crede in Dio e altre, scelte e nutrite personalmente dall’uomo.
Con la passione della personalizzazione s’interrompe la comunione con Dio, come pure la comunione fra cuore e intelletto. L’energia spirituale, nell’uomo della caduta, parte dal cuore, ma si ferma nel cervello, organo di percezione ed elaborazione dei dati, e si confonde con i pensieri che esso contiene; non ritorna, poi, intatta, come dovrebbe, nel cuore; vi ritorna, invece, sottoforma di pensieri. L’uomo, in questo modo, ipertrofizza l’intelletto. Più egli si appropria della sua natura, più l’intelletto diviene ipertrofico.
Dall’altro lato, però, l’uomo non riesce ad appropriarsi del tutto della sua natura. Il “profondo” gli sfugge, rimane fuori del suo campo di azione; l’uomo si riempie così d’insicurezza e si trova in balia di forze istintive distruttive e del diavolo. Più egli cerca di appropriarsi della propria natura, e più si spacca in due parti: in un’interiorità non del tutto o per niente controllata, indipendente, irrazionale, spaventosa, generatrice di incertezze e di vuoto esistenziale, e in una parte conscia, razionale, logica, che aspira al predominio. Si crea in questo modo un conflitto che sfocia dapprima nella malattia e poi nella morte. L’uomo non ha la forza di controllare la sua profondità inconscia; quando dunque gli si presenta l’occasione, quest’ultima prende il sopravvento su tutto. Così l’individuo abbandona se stesso in balia di un universo tenebroso popolato di forze irrazionali, di potenze incomprensibili, d’insicurezze, di vuoti esistenziali. La ragione perde la sua egemonia e ad essere ipertrofizzata è la parte irrazionale, illogica, piena di paure e di vissuti rimossi.
Cristo è l’Uomo Nuovo che, in quanto tale, non presenta questa malattia. Egli assume le passioni naturali dell’uomo, perché assume, per santificarla, l’intera natura umana. Non ha però le passioni innaturali. Ma anche per ciò che riguarda le passioni naturali, Egli non si è unito ipostaticamente con esse e a Lui non si sono imposte. Dopo la sua resurrezione, infatti, le elimina completamente dalla nostra natura. Il Cristo pasquale non mangia per fame, né beve per sete, ma, secondo il piano di salvezza, per certificare la verità della resurrezione, per dimostrare, cioè, che la carne risuscitata era quella stessa che aveva patito.
Per questo Cristo è l’esempio da seguire, l’archetipo dell’uomo, il Nuovo Adamo. Nello stato fisiologico in cui Egli vive, l’energia spirituale si muove ciclicamente. Cioè origina dal cuore, arriva al cervello, poi torna di nuovo al cuore e ripete questo processo. Tale movimento ciclico unifica il cervello con il cuore, in un unico centro che possiamo chiamare “enosis”, unione fra cervello e cuore, fra spirito e materia. Questo vale per Cristo, la primizia della nostra natura; ma vale anche per ogni uomo che lo voglia, si faccia discepolo di Lui e si lasci plasmare dalla Sua grazia. In che modo? Seguendo quale cammino? Percorrendo quali tappe?
La purificazione, anzitutto, che è la continua lotta contro le passioni innaturali. L’uomo deve distaccarsi da ogni preoccupazione, da ogni realtà che lega l’anima al mondo, deve cioè morire al mondo, morire e rinascere. Gli strumenti che garantiscono questo processo sono tanti, ma i più importanti risultano i seguenti: la sottomissione ad un direttore spirituale che ha attraversato questa lotta ed ha vinto ed è quindi abilitato dallo Spirito per questo suo ministero di “padre”; la preghiera continua; i sacramenti che la Chiesa ci offre, come appunto il sacramento-mystero del matrimonio.
Nel Matrimonio continua la purificazione personale iniziata con il Battesimo: se il peccato, come abbiamo visto, proviene dalla scelta personale (la cosiddetta “volontà gnostica”), la quale distrugge e disgrega la natura buona donata da Dio, gli sposi non devono fare scelte personali, che sono caratteristiche del primo Adamo, ma obbedire a Cristo. «Poiché, essendo stati generati da Adamo, siamo stati resi simili a lui ereditando la maledizione e la corruzione, così generati anche da Cristo, diveniamo simili a Lui ereditando la sua immortalità, la sua benedizione e la sua gloria».
Il RITO
Il vero matrimonio per la Chiesa Ortodossa è il rito dell’Incoronazione.
San Giovanni Crisostomo e altri padri dopo di lui, affermano che le corone nuziali spettano solo a chi ha vinto l’intemperanza e ha conservato la gloria della verginità, per chi allora è rimasto fedele nell’innocenza battesimale. Ma anche le corone sono simbolo della grazia e del dono dello Spirito Santo:
“S’incorona il Servo del Signore… (nome dello Sposo), con la Serva del Signore…(nome della sposa)”: questa è la formula pronunciata dal Sacerdote! “S’incorona” alla terza persona, seguito all’accusativo della persona, rinvia all’iniziativa della Grazia divina. Una variante dell’incoronazione presente in un codice dell’Italia Meridionale risalente al secolo XII, il Sinai GR. 966, conferma il collegamento tra incoronazione e dono dello spirito: “il Padre benedice, il Figlio incorona, lo Spirito è presente e perfeziona”. Anche la formula che viene dopo “Signore Dio nostro incoronali con gloria e onore” cantata tre volte dal celebrante dopo l’incoronazione, indica la dignità dell’incoronazione come momento carismatico. Diventa un’epiclesi, nuova Pentecoste, nella quale lo Spirito Santo discende sugli sposi per portare a compimento la loro nuova creazione. Il significato pneumatologico delle corone nuziali è suggerito anche dalla preghiera sacerdotale che precede l’incoronazione, la terza della funzione dell’incoronazione “ Dio Santo… adesso Signore manda la Tua mano dalla Tua santa dimora”. Si tratta di un’allusione sia all’unione indissolubile e permanente degli sposi, sia al fatto che Dio rimane in mezzo a loro. Allo stesso tempo la metafora della mano di Dio è probabilmente un riferimento allo Spirito Santo. La stessa struttura dell’intera preghiera mostra che vi è un rapporto tra ciò che Dio ha compiuto all’inizio dei tempi e “l’adesso” “νυν” della celebrazione: come al momento della creazione Egli ha plasmato l’uomo con le sue mani, mediante il Figlio nello Spirito Santo, così ora gli sposi cristiani sono santificati ugualmente. Le corone nuziali però sono anche un segno che rimanda al martirio e alla croce. Sono molti riferimenti al martirio negli antichi eucologi. Nella seconda preghiera d’incoronazione si ricordano Sant’Elena che ritrovò la croce di Dio e i 40 martiri di Sebaste (μικρόν ευχολόγιον), mentre al termine della liturgia nella formula di concedo si nomina il Santo martire Procopio (μικρόν ευχολόγιον) “Santi Martiri che avete lottato bene e siete incoronati…”C’è un legame fra le corone nuziali e la corona di spine di Cristo crocifisso, senza la quale le prime non avrebbero nessun senso, in quanto “l’amore perfetto è l’amore crocifisso” un amore di kenosis, di svuotamento. Si cerca di purificarsi, di svuotarsi da tutti gli egoismi e le appropriazioni dell’io, per arrivare all’amore “che non cerca il proprio interesse”.
La condizione per una tale partecipazione è che gli sposi debbono essere creature nuove, rinate dallo Spirito, cioè rinate dall’alto. Per conservare, poi, o per ritrovare l’innocenza battesimale sono necessari la lotta personale, il combattimento con le passioni innaturali, lo sforzo per trasformarle in passioni naturali. Osserviamo così che, nel Matrimonio, tutte le preghiere conducono pian piano alla purificazione dai pensieri personali. In questo modo anche tutti i sensi si liberano dalla logica di questo mondo, cioè dalla logica personale, della caduta. Si deve solo seguire ciò che l’esperienza della Chiesa indica.
È deprecabile, negativo, per non dire distruttivo, l’atteggiamento di chi partecipa nel Matrimonio e mantiene i propri pensieri ben radicati in questo mondo. Così la struttura del Matrimonio, il testo dei canti, le melodie, gli occhi che vedono le icone ma anche il vescovo, i preti, i diaconi vestiti con tanto splendore, l’odorato che percepisce il profumo dell’incenso, il gusto che assapora il corpo e il sangue del Signore, tutto questo ti conduce in una realtà dove l’”io” cessa di esistere e il suo posto viene preso dal “noi due”, che siamo Chiesa, noi due che siamo Cristo, noi due persone che siamo l’unico, il nuovo Adamo. L’unico modo per diventare partecipi di questa realtà, è lasciarsi guidare dalla Chiesa: devi obbedire a tutto ciò che essa ti comanda!
Infatti, durante il rito, ci sono momenti in cui tutti sono seduti, ci sono momenti in cui tutti si alzano in piedi, mentre gli sposi rimangono al centro della Chiesa e in piedi.
2) L’illuminazione è uno stadio collegato con la purificazione. Infatti, più una persona purifica il suo spirito e il suo cuore, più viene illuminata; tutte le passioni innaturali, allora, sono trasformate in naturali. In questo stadio ritroviamo i carismi di cui parla Paolo nella sua prima epistola ai Corinzi (12, 28): «Alcuni, perciò, Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue». Vengono elencati tanti carismi, a cominciare dalle lingue, il carisma più basso, fino agli apostoli e ai profeti, che sono i carismi più alti. I carismi che partono dal dono delle lingue (fino agli apostoli e ai profeti esclusi) appartengono allo stato d’illuminazione, mentre i due ultimi – profeti e apostoli – allo stato di glorificazione, che esamineremo tra poco. Le preghiere e i salmi che si sentono nel Matrimonio vengono – dallo Spirito – incessantemente portati nel cuore, a partire dalla mente, insieme con l’energia spirituale liberata dalla mente. Arrivano nel cuore, ritornano nella mente e si ripete questo movimento ciclico che unifica cuore e mente in un unico centro. Il cervello continua la propria funzione, mentre lo Spirito prega nel cuore senza distrazioni ed interruzioni.
A questo punto il fedele comincia ad avere una comprensione più profonda del Matrimonio. Afferra meglio lo spazio e il tempo liturgico. I simboli che si usano e che sollecitano i sensi, vengono intesi o, per esprimermi meglio, vengono vissuti dall’uomo interiore, nel profondo. Si guardano i simboli, ma si capisce che la realtà del Regno di Dio non ha niente in comune con questi simboli, li trascende, li supera. Vedi Cristo nel volto del vescovo, lo onori, lo contempli nelle icone, nel Pantocratore raffigurato nella cupola centrale, che ti chiama a salire verso il cielo. La celebrazione del rito nel tempio ti dà l’impressione che i santi, i morti, i vivi, Cristo, la Madonna, tutti, vivano nello stesso tempo il tempo di Cristo e che quanti si trovano “sotto” parlino, can- tino, festeggino assieme a quelli che si trovano “in alto”. E il prete continua nel rito del Matrimonio “Santi Martiri che avete lottato bene e siete stati incoronati, pregate al Signore per avere pietà delle nostre anime.”
Ma tutta questa realtà, che tu vedi ancora con i simboli, la vivi nel tuo cuore e perciò cominci a comprenderla. Tale processo trasforma gli sposi in tempio dello Spirito e membro del corpo di Cristo. Questo è solo l’inizio della liberazione del fedele dalla schiavitù dell’ambiente: non parliamo di fuga dall’ambiente, perché non può mai avverarsi; è invece possibile soltanto un controllo su di esso. A questo punto, poiché anche la passione della personalizzazione cessa di esistere, l’uomo non cerca di sfruttare il prossimo per scopi egoistici e narcisistici, ma ama con un amore che non cerca la soddisfazione personale, che non cerca la reciprocità e “il proprio interesse”. “gli sposi amano le spose, come Cristo ha amato la Chiesa” dice l’epistola di San Paolo che si legge nel Matrimonio. Tutto questo ci fa capire che solo nell’amore cristiano esiste la vera unità di uomo e donna in una sola carne.
3) Lo stadio dell’illuminazione tuttavia non è quello definitivo. La fase successiva è la glorificazione, che è la meta finale: la visione di Dio, la visione di Cristo risorto. Il discorso di Paolo non si conclude con la Resurrezione e la Pentecoste. L’Apostolo, infatti, continua: «Apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me, come a un aborto». La perpetua presenza di Cristo nel suo popolo, fra quelli che sono arrivati a tale stadio di perfezione, sembra essere l’elemento più importante nell’evangelo di Paolo. Questa verità continua in tutta la tradizione orientale fino ai nostri giorni. Le persone che sono pervenute alla glorificazione sono in grado di avere una visione di Cristo nello Spirito. Quando si trovano lì, non vedono l’ora di mangiare assieme a Cristo il nutrimento che Egli spezza e offre con le proprie mani. Poiché Lui è Colui che offre, ma anche Colui che viene offerto. L’uomo segue ed obbedisce Cristo e la donna obbedisce all’uomo. Solo Cristo diventa il punto di unione della coppia.
La trasmissione delle preghiere, per opera dello Spirito Santo, dalla mente al cuore, equivale al rinnovamento dell’uomo in una nuova creazione, e tuttavia si tratta soltanto di una visione “come in uno specchio, in maniera confusa”. Ciò viene riferito all’illuminazione. Quando però l’uomo arriva alla glorificazione, egli vede “faccia a faccia”. Nello stadio dell’illuminazione esistono “la fede, la speranza e l’amore”, ma nello stadio della glorificazione “le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà, la scienza svanirà” mentre “l’amore non avrà mai fine”. Nello stadio dell’illuminazione il fedele è come un bambino, imperfetto, ma nello stadio della glorificazione il fedele diventa un adulto, attinge alla perfezione. «Quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato». Quando Paolo afferma: “Ora conosco in modo imperfetto”, si riferisce allo stadio dell’illuminazione. Con la frase seguente: “Ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto”, egli ci vuol dire che verrà glorificato, come in effetti lo è stato.
Questa glorificazione segna, come abbiamo visto, l’acquisizione dei carismi più alti tra quelli che Paolo cita nella sua epistola. Su tali carismi si basa anche la Chiesa. Essi sono, in altre parole, il fondamento della Chiesa. “Il vostro edificio ha per fondamento gli apostoli e i profeti, mentre Cristo Gesù stesso è la pietra angolare”. Il carisma della profezia e dell’apostolicità, collegati con la visione di Dio, non solo unificano il cuore e l’intelletto in un centro, caratteristica dello stadio dell’illuminazione, ma ottengono la terapia completa dell’uomo, uomo che viene così affrancato dalla passione della personalizzazione. Gli sposi che sono giunti a questo stadio si conoscono tra loro completamente perché, cessando di esistere la loro appropriazione sulla natura, non hanno un pensiero personale, non hanno una volontà personale, non hanno un’energia personale, ma hanno il pensiero, la volontà e l’energia di Cristo. A questo punto conoscono naturalmente anche gli altri, perché hanno gli stessi pensieri che dovrebbe avere l’altro, la stessa volontà, la stessa energia. Quando dunque l’uomo vede la donna vicino a lui nel Matrimonio non dice: “Ecco, lei è un altra”, ma dice: “Ecco, lei sono io”. Per tali persone non esiste nulla che possa dividere, non esistono diversità culturali, non esistono diversità razziali, non esistono neanche diversità naturali, perché esse hanno la stessa natura risorta di Cristo: «Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù».
A questo punto, l’amore, da amore interessato, che persegue la reciprocità, diviene un “amore che non cerca il proprio interesse”, che non ha bisogno della reciprocità, ossia della risposta dell’altro, ma ama nella stessa maniera in cui ama il Dio Trinitario.
L’amore sponsale quindi, in quest’ ottica è “un atto libero naturale di compartecipazione, una partecipazione totale (cattolica) dei due per realizzare il nuovo e unico uomo coniugale, la loro nuova e comune carne coniugale, la quale ha solo una volontà un amore un atto, quello di Cristo.
Secondo San Gregorio Palamas, nel matrimonio non abbiamo una specie di fusione o di mescolanza, che significherebbero perdita della specificità personale, ma comunione e compartecipazione di persone che si amano, che giungono a quella suprema condizione che è l’intimità, la comunione cioè delle anime e dei corpi (comune natura). Siccome le persone sono distinzioni che non possono comunicare fra di loro perché si mescolerebbero e perderebbero la distinzione, queste persone comunicano tramite la loro natura comune, tramite le anime e il corpo. Due persone, una natura, una sola carne. Due persone, una volontà, una libertà, un atto, un amore che tutto copre, tutto spera, tutto sopporta, non finisce mai, perché è una forma di espressione di quell’ amore naturale, il quale non “cerca il proprio interesse”, come l’amore di Dio che ama tutti, senza un perché, un imitazione di Dio che “fa sorgere il suo sole davanti ai giusti ed gli ingiusti” e che comprende tutto il mondo.
Nella lingua della teologia si dice che la persona glorificata partecipa della stessa vita della Trinità: l’uomo la donna vengono assunti nel Regno increato di Dio, lì dove non esiste nessuna analogia con il mondo creato.
LE CORONE
Un altro significato delle corone poste sul capo degli sposi è quello escatologico. Nella prima preghiera d’incoronazione il celebrante chiede “Benedici questo matrimonio e dona a questi tuoi servi la corona incorruttibile della gloria”. La preghiera ricorda che le corone nuziali sono il segno di quelle corone che gli sposi un giorno riceveranno direttamente da Dio nel Suo Regno. Inoltre verso la fine della funzione dell’incoronazione il sacerdote, dopo aver tolto le corone dal capo degli sposi, prega “prendi queste corone nel Tuo regno, senza macchia e incontaminati e senza insidia e conservale nei secoli dei secoli”. L’imposizione delle corone è un invito agli sposi, a far crescere i loro amore, finchè non giunga alla pienezza di Dio. Il matrimonio è una chiamata che non si esaurisce con la vita presente, ma che raggiunge il suo compimento solo con la venuta del Regno. La comunione nuziale però non è solo un preannuncio del Regno futuro, ma è già un’esperienza viva della Sua presenza nella storia e che gli sposi ne assaporano fin d’ora i frutti escatologici.
Tale carisma è la massima aspirazione per tutti i cristiani e tutti possono e debbono raggiungerlo. Per questo Paolo spinge tutti i fedeli a pervenire a simili vette: “Aspirate pure anche ai doni dello Spirito, soprattutto alla profezia”. Tutti i cristiani cercavano di arrivare a questo stadio, ma non tutti ci riuscivano. Se però qualcuno lo raggiungeva, ciò provocava una grande gioia anche negli altri membri, i quali potevano beneficiare di questo carisma, dal momento che la passione della personalizzazione o veniva eliminata del tutto o veniva da essi combattuta: “Se un membro è glorificato, tutte le membra gioiscono con lui”. Su questi carismi si fondava la Chiesa ed essi – i fedeli illuminati e divinizzati – erano abilitati da Dio a celebrare i “misteri della Chiesa” per essere i ministri del sacramento del Matrimonio. Erano scelti per diventare vescovi, preti, successori degli apostoli. Lo conferma anche Paolo nel suo discorso «Non sono libero io, non sono un apostolo, non ho visto il nostro Signore Gesù Cristo?». Il sacramento del matrimonio, come tutti i sacramenti, è “farmaco dell’immortalità, antidoto contro la morte”. Se il Matrimonio è farmaco, deve essere amministrato da medici, non da pseudomedici non abilitati dallo Spirito di Dio. Ecco perché i preti abilitati, i veri medici, che sono arrivati a vivere nella grazia di Dio sono loro i ministri del sacramento del matrimonio: medici abilitati a curare la coppia per arrivare alla perfezione della Grazia di Dio.
COME VIENE CONSIDERATO IL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO NELLE DUE CHIESE: ELEMENTI IN COMUNE E DIVERSITA’
Per la chiesa ortodossa il matrimonio è un fatto mistico, interiore, un avvenimento misterioso che cambia le persone che si sposano. Le due persone incontrano, in Chiesa, la Grazia increata di Dio e con essa cercano di vivere come la Trinità. Tre persone e comune natura. Imitano lo stesso Cristo che assume la nostra natura. Non vive Adamo ed Eva in quanto due persone distinte con volontà propria, amori propri, pensieri diversi, ma Cristo vive in loro il quale ha assunto nell’incarnazione la stessa nostra natura. Si cerca allora di avere la stessa volontà, pensieri e tutti gli atti della natura umana che ha assunto Dio. Non si cerca di creare una confederazione di due persone distinte e separate, ma di vivere come “una sola carne” obbedendo in Cristo. L’uomo obbedisce in Cristo e la moglie al marito. Solo Cristo diventa il punto di riferimento. Solo così si riesce a stabilire la perfetta unità fra loro. Uno offre la propria autonegazione all’altro, uno muore come individuo e nasce come amore il quale “non cerca il proprio interesse” e ripete così la “kenosis”, il svuotamento di Cristo. Si muore per rinascere. Ecco il senso del nuovo testamento della nuova alleanza con Dio. Dio nella persona di Cristo assume la natura dell’uomo, cioè tutta l’umanità nessuno è escluso da questa assunzione. Cristo non assume una persona umana, come affermava Nestorio, ma una natura. Non assumendo una persona umana, Cristo non fa l’alleanza con la persona che avrebbe assunto, non salva – in poche parole – solo una persona umana, ma Dio assume la natura dell’umanità, cioè fa l’alleanza e salva tutti gli esseri umani.
E se gli sposi vogliono essere fedeli a quest’alleanza con Dio devono anche loro arrivare ad esprimere nella loro vita, obbedendo a Cristo, la natura che Lui ha assunto.
La chiesa cattolica al concetto di mysterion aggiunge il segno, ossia gli sposi, i quali attraverso la fede formano un’alleanza, come Dio la stringe con il suo popolo.
Quest’alleanza è un elemento in comune tra le due chiese.
Per la Chiesa ortodossa l’alleanza viene vista come l’incarnazione, Cristo assume tutta l’umanità, assumendo natura umana, dove la fede, fiducia a tutto quello che Dio ha fatto per noi, si unisce con l’amore e formano una cosa indiscindibile. Fede e amore frutto dello spirito. Per capire anche meglio questa esperienza diciamo che, con la fede l’uomo crede che Dio è venuto a salvarlo. Cosa indica questo? Che con la coltivazione della virtù personale l’uomo può arrivare alla salvezza. C’è voluto il sacrificio di colui che non commesso nessun peccato e che sacrificio!!!. Riconoscere questo con umiltà, accettare la degradazione del proprio io, che si è appropriato della natura. Non si arriva alla salvezza coltivando la virtù personale, ma svuotando se stessi. Applicare la kenosis, lo svuotamento. Se non ce la faccio da solo, allora è venuto Lui, si è svuotato (kenosis), piegando i cieli e assumendo la forma di un servo ed è morto sulla croce: estrema espressione di kenosis, di amore che ti fa svuotare per arrivare all’altro. Riconoscere questo con fede, accettare la degradazione del proprio stato, svuotarsi per arrivare a questo amore “kenotico” di Cristo. Riconoscere valore non alla propria persona, ma a Dio. Ecco perché non si può amare se non si ha fiducia in Dio e non si può avere fiducia se non si ama. E chi ha fiducia e ama, spera sempre. Tutto questo viene chiamato “esperienza reale”. Gli sposi con la fiducia e con amore cercano di essere fedeli fra di loro e con Dio, il quale rimane sempre fedele a noi e non cambia il Suo amore. Da lì si comincia il vero cammino esperienziale della fiducia e dell’amore. Un cammino di speranza per tutto quello che ancora Dio farà per noi. Si cammina nella strada di Dio con speranza, fiducia, amore e si cerca di essere sempre e comunque fedele a questo.
Per la Chiesa cattolica l’alleanza viene vista come un popolo in cammino. Il popolo di Dio che ha fede in Lui, cerca di camminare nella strada verso Dio con il Suo aiuto. Il popolo della Chiesa, il nuovo Israele trova in Dio la pace, la guida, la speranza e l’amore.
Il popolo esprime l’idea che Dio non fa un’alleanza privilegiata con una persona, ma con molti, appunto il popolo. Il concetto della natura nostra che Dio ha assunto, indica la stessa cosa, l’alleanza di Dio non con una persona, ma nello stesso modo è più ampio perché comprende tutta l’umanità perché tutti abbiamo la stessa natura. Non può mai essere interpretato come un popolo privilegiato, ma comprende tutti. Infatti l’Ecclesia (che significa i chiamati) sono tutti gli esseri umani e non una determinata parte dell’umanità.
Gli sposi infatti chiedono, con l’aiuto di Dio, di rimanere fedeli l’ uno all’ altra per tutta la vita, in qualsiasi condizione.
Una delle differenze tra la celebrazione dei 2 matrimoni è che il matrimonio cattolico stipula anche un contratto, mentre quello ortodosso no.
Infatti nel matrimonio cattolico “il patto matrimoniale con cui l’ uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla generazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento.
Pertanto tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale che non sia per ciò stesso sacramento”(Codice di Diritto Canonico, Ed. Ancora, Milano 2011) di cui solo la Chiesa ha diritto di legislazione.
Il matrimonio dunque è istituto naturale, eticamente regolato da norme di diritto naturale, poichè l’unione dei sessi (oggetto del contratto) è regolata da norme etiche naturali, radicate cioè nelle finalità essenziali oggettive naturali di quell’unione . Dato che il bene della prole e quello dei coniugi esigono che l’unione dei sessi sia stabile ed esclusiva, il libero consenso o contratto giuridico riguardante tale argomento, non soltanto crea necessariamente una società naturale, ma ne determina necessariamente anche i suddetti caratteri o proprietà essenziali (monogamia e indissolubilità) che sono, per diritto naturale, inerenti al legame creato dal contratto coniugale.
“Il matrimonio si fonda sul consenso dei contraenti, cioè sulla volontà di donarsi mutuamente e definitivamente, allo scopo di vivere un’alleanza d’amore fedele e fecondo. Poichè il matrimonio stabilisce i coniugi in uno stato pubblico di vita nella Chiesa, è opportuno che la sua celebrazione sia pubblica, inserita in una celebrazione liturgica, alla presenza del sacerdote, dei testimoni e dell’assemblea dei fedeli.” (Catechismo della Chiesa Cattolica, N.1661-1662. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1999).
Invece per la Chiesa Ortodossa è diverso: “l’ufficio dell’incoronazione è il momento costitutivo del matrimonio.” Gli sposi vengono incoronati, ma cos’è l’incoronazione?
Le corone sono un segno, come abbiamo visto, ed esprimono quattro significati: il significato etico, il significato pneumologico, il significato delle corone di spine e infine quello escatologico. “Si incorona il servo di Dio … con la serva di Dio…, nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo” per tre volte canta il sacerdote e impone le corone sulla loro testa e ancora “s’incorona la serva di Dio… con il servo di Dio… nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo” e si scambiano le corone. Subito dopo vengono guidati dal sacerdote nel ballo di Isaia, acclamati da tutto il popolo di Dio che è presente alla cerimonia. “balla Isaia” canta il popolo “la Vergine ha concepito nel ventre e ha partorito un Figlio, l’Emmanuele, dio e uomo , il suo nome è Oriente…” e continua “tutti voi santi che avete lottato bene e siete stati incoronati, pregate il Signore di avere pietà di noi”. La Vergine, principio di ogni santità e Madre della vita, con i Santi vengono chiamati ad aiutare e pregare per la coppia, affinché anch’essa arrivi alla santificazione, alla pienezza dell’amore di Dio. E come viene incoronata dal sacerdote, con le corone della santità” viene anche incoronata dal Signore nel Suo Regno. “Signore, Iddio nostro, di gloria e onore incoronali!” canta il sacerdote, mentre il popolo li acclama, per arrivare a esprimere questi significati che abbiamo spiegato delle corone. Ma arrivare alla pienezza dell’amore, non è uno sforzo umano solamente, ma principalmente un dono della Grazia Increata di Dio. Di conseguenza il popolo, i Santi, la Vergine: tutti intercedono e la preghiera arriva al ministro del sacramento, per la Grazia, perché senza di essa nulla è possibile. L’uomo non può arrivare a vivere come Cristo se non è aiutato dalla Grazia di Dio, dalla Sua Grazia Increata. Durante l’incoronazione il sacerdote, come abbiamo visto, fa un’epiclesi allo Spirito per benedire le corone e gli sposi “Dio Santo… adesso Signore manda la tua mano dalla Tua santa dimora”. Assomiglia con l’epiclesi dell’eucaristia: “manda il tuo Spirito e santifica questi doni”, il momento culmine del sacramento per l’ortodossia. Se uno si sposa senza questa benedizione, il suo matrimonio sarà nullo – (Leone VI, 895), perché appunto non potrà mai vivere come Cristo, ma creerà solo una confederazione fra due esseri diversi, i quali si combatteranno fra di loro e litigheranno per i diritti, doveri per comandare uno piuttosto che l’altro. Il decreto sinodale di Michele Anchialos (1177) dice chiaramente che non è la volontà dei contraenti a costituire il matrimonio, ma la benedizione e il rito. Il rito dell’incoronazione non comportava lo scambio del consenso…. Dunque il solo ministro del sacramento è il sacerdote.
Se l’approvazione del vescovo è indispensabile, tuttavia ogni sacerdote ha la facoltà di celebrare il matrimonio”.(P. Nikolaevic Evdokimov, Sacramento dell’ Amore, il mistero coniugale alla luce della tradizione ortodossa, Ed Servitium 1966 p 250).
LE PROPRIETA’ DEL MATRIMONIO
Le proprietà essenziali del matrimonio sono l’unità e l’ indissolubiltà.
Per la Chiesa ortodossa l’unità significa che le due persone vivono obbedendo a Cristo il quale ha assunto la natura dell’uomo con l’incarnazione. Non vivono in quanto distinzione che appropriano la natura comune. La volontà, la libertà, il pensiero, l’amore sono tutti atti non personali ma naturali. E’ la natura che ti fa diventare libero, che ti fa pensare, volere, amare. Non esiste una volontà, una libertà, un pensiero, un amore, personale. La natura è comune in tutti gli esseri umani. Così l’uomo è stato creato uno con milioni di persone, come la Trinità è una, (un Dio e non tre) anche se ci sono tre persone. Se adesso vogliamo conoscere questa natura dobbiamo guardare l’incarnazione di Cristo, cioè è la natura che assume Cristo nell’Incarnazione
Anche per l’indissolubilità vale la stessa logica. Dio, quando ama, il Suo amore non cerca in proprio interesse, ma ama tutti senza distinzioni. San Giovanni Crisostomo afferma che Dio vive nella perennità, perché Lui sempre ama e non cambia idea. Qualunque cosa che fa l’essere umano è amato da Dio, che fa sorgere il suo sole su tutti, giusti ed ingiusti, e regala doni a tutti. Se un peccatore va a prendere sole, esso non ritrae i suoi raggi, e se un assassino va a bere acqua alla sorgente, essa non torna indietro. Dio vive nella perennità perché è una continua e infinita sorgente dell’amore. L’uomo però, dopo la caduta, appropriandosi della natura e dell’amore naturale, lo fa apparire personale. Un amore che cerca il proprio interesse. Amo l’amico, la persona che mi risponde e odio i nemici e le persone che non rispondono al mio interesse. Allora l’uomo inserisce il fattore tempo. Una volta ama, una volta odia e di nuovo ama e odia e lo stesso fa con Dio. Tutto questo movimento che fa l’uomo, San Giovanni Crisostomo lo definisce tempo. Allora bisogna arrivare ad amare sempre, senza tempo come fa Dio. Superare il tempo, non vivere in una forma che dice: oggi amo e domani odio. Come ha fatto la Madonna per prima e poi tutti i Santi: il sì di Maria a Cristo è stato perenne; un sì che dice: voglio amare Dio e mi affido a Lui. Questo sì non cambia nel tempo e per questo la Madonna, per la teologia ortodossa, rimane vergine. Il suo sì è perenne. Ecco perché la Chiesa pretende da tutti che, quando prendono una decisione, di non avere tempo. Chi diventa prete, il suo sì a Dio deve tenerlo per sempre. E chi diventa monaco anche lui per sempre, deve rimanere monaco. E chi sceglie di sposarsi e di formare una coppia, deve mantenere questo sì nel tempo e per sempre.
Queste due caratteristiche accomunano entrambe le chiese.
Gli sposi fanno dono di sè reciprocamente, questa sponsalità origina dalla promessa Divina e dal principio dell’Unità.
Questo dono è totale, reciproco ed unico.
“L’unità del matrimonio confermata dal Signore appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale, sia dell’uomo, che della donna, che deve essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore” (Catechismo della Chiesa, Cattolica – Libreria Ed. Vaticana, Città del Vaticano 1999, n.1645)
I “FINI” DEL MATRIMONIO
“Per sua indole naturale, l’istituto stesso del matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati alla procreazione e all’educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento” (Conc.Vaticano II, Cost. past. Gaudium et Spes, 48). Il compito principale del matrimonio è di essere al servizio della vita.
Per la chiesa ortodossa invece la procreazione è una conseguenza di due persone che hanno deciso di amarsi per sempre. Lo scopo principale è la vita in Cristo. Lo scopo principale è di vivere un amore che non cerca il proprio interesse, come l’amore di Dio. Naturalmente questo amore genera altra vita o altre vite e diventa creativo come l’amore di Dio, se Dio lo vorrà, perché i figli sono un dono di Dio, dato che l’uomo non ha il principio della vita e non può fare nulla, se non è donato da Lui. Ma un dono è sempre gratuito, non può mai essere preteso. Questo significa che se non ci saranno i figli, lo scopo del matrimonio sarà sempre raggiunto: vivere un amore che non cerca il proprio interesse nella coppia e poi applicare lo stesso amore a tutta la Chiesa e al mondo intero.
SIMILITUDINI E DIFFERENZE TRA
MATRIMONIO ORTODOSSO E MONACHESIMO
Nel matrimonio la natura dell’uomo viene cambiata, così come cambia, in altra forma per il monaco. Una strettissima parentela interiore unisce i due stati. Le promesse che i fidanzati si scambiano li introducono in uno speciale stato monastico, in cui muoiono al passato per rinascere a una nuova vita.
Come il monaco rimane fedele alla sua scelta, così anche gli sposi.
“Del resto il rito d’ingresso negli ordini si serve del simbolismo coniugale: (fidanzata, sposa) e l’antico rito del matrimonio comprendeva quello della tonsura monastica, che richiamava il comune abbandono delle due volontà al Signore.
Così il matrimonio viene ad includere interiormente lo stato monastico, Il clima monastico, così profondamente imparentato, nel suo simbolismo, col matrimonio, rende più chiara la gioia delle nozze”(P. Nikolaevic Evdokimov, Sacramento dell’Amore, il mistero coniugale alla luce della tradizione ortodossa, Ed. Servitium 1966 pp. 88-89).
Il matrimonio è un susseguirsi di “passi”: partendo dall’unione degli sposi, passando poi alla generazione dei figli, in ultimo si arriva ad amare nella stessa maniera il mondo intero.
Il monachesimo invece è un “salto”, in quanto il monaco non passa attraverso il matrimonio. Arriva allora ad essere come saremo tutti nell’altra vita: lo stato perfetto della pienezza e ciò spiega perchè quest’ultimo non è un sacramento.
IL MATRIMONIO NEL DISEGNO DI DIO
La Sacra Scrittura si apre con la creazione dell’uomo e della donna ad immagine e somiglianza di Dio (Gn. 1, 26-27) e si chiude con la visione delle “nozze dell’Agnello”(Ap. 19,9).
“Da un capo all’altro la Scrittura parla del Matrimonio e del suo mistero, della sua istituzione e del senso che Dio gli ha dato, della sua origine e del suo fine, delle sue diverse realizzazioni lungo tutta la storia della salvezza, delle sue difficoltà derivate dal peccato e del suo rinnovamento nel Signore, nella Nuova Alleanza di Cristo e della Chiesa” (Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999, n. 1602).
IL MATRIMONIO NELL’ANTICO TESTAMENTO
La vicenda del matrimonio, dell’unione cioè dello sposo e della sposa in una carne sola, da un punto di vista teologico comincia con la storia della creazione, risale all’inizio stesso del mondo, come viene descritto nei primi capitoli della Genesi.
Secondo la sacra scrittura, Dio crea il primo uomo, Adamo, lo addormenta e dalla sua costola plasma la prima donna, Eva, qualificandola come aiuto dell’uomo in un senso soteriologico.
Dio creatore istituisce il matrimonio primordiale tra Adamo ed Eva, come solido fondamento della famiglia.
La creazione di Eva dalla costola di Adamo non indica sottomissione della donna al marito, ma rivela la profonda realtà antropologica della “consustanzialità” dei due in quella comunione di amore e di unità che è il matrimonio.
Quando Dio dice “ facciamo l’ uomo” questo singolare (l’uomo) contiene una collettività plurale, un popolo, una natura allora, perchè Dio ha plasmato l’ uomo, maschio e femmina, che è l’ uomo perfetto, intero.
Nella tradizione dei settanta si usa la parola άνθρωπος. Eimologicamente significa άνω e θρώσκω cioè guardare in alto. Anthropos in greco è la natura comune dell’uomo e della donna. Anthropos è l’Adamo, anthropos è anche l’Eva. Antropos è la natura che poi assumerà Cristo. I Padri dicevano che la Santa e Consustanziale Trinità, crea l’anthropos, con una natura e molte persone. Ma sono l’un anthropos, come il Dio è uno, anche se ci sono tre persone, tre distinzioni. Quando il Padre crea, dipinge un’icona di Suo Figlio nello Spirito, affermano molti Padri. Perché per loro, non solo si crea Adamo, ma Dio ha già prestabilito che il Suo Figlio avrebbe assunto la natura di Adamo in quello che poi il sinodo di Calcedonia chiama “unione ipostatica”. La seconda persona della Trinità, era da sempre prestabilito che avrebbe assunto la natura dell’uomo, questo anthropos che è stato creato con l’unico scopo di unire nella Sua persona l’umanità e la divinità senza divisione e senza confusione. Il piano di Dio di unire l’umanità con la divinità non cambia anche dopo la caduta di Adamo.
E’ la comunione naturale, l’unità dei due, la loro condizione naturale. E’ tale comunione a costituire ciò che dell’uomo è secondo natura, ed è con tale comunione unificante che Dio conversa nel paradiso. Dio benedice questa coppia e ordina loro di crescere e moltiplicarsi, così da riempire e dominare la terra con i loro figli, che saranno frutto ed espressione della loro unione fisica (Gn. 1, 27-28; 2, 18.21-24).
Per questo, “l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”(Gen. 2,24 )
La nascita, pertanto, di tutta l’umanità non è che una conferma del divino comando che vuole l’unione dei sessi e la crescita del genere umano.
Adamo ed Eva inizialmente sono nudi, ma amando Dio non si sentono tali.
Solo dopo aver rotto la relazione con Lui, cessando di amare come Lui, si accorgono della loro condizione perché si sentono giudicati e se ne vergognano. Sentono lo sguardo di Dio come lo sguardo di un estraneo, non della persona amata e hanno pudore per la loro nudità.
Il pudore è una conseguenza della rottura dell’armonia con Dio dovuta al peccato originale, una mancanza di amore, infatti i due cedono alle tentazioni di Satana che crea inimicizia con Dio.
La caduta, tra i suoi effetti, implica anche la divisione della coppia e l’ostilità tra uomo e donna. Anche fra di loro si sentono nudi. Non è più Eva “carne della mia carne e ossa delle mie ossa”, la persona amata, ma un’altra, una nemica e il suo sguardo mi ferisce mi fa sentire un altro, un totalmente diverso o una persona che potrebbe essere sfruttata per i propri interessi dell’altro. “Questa unione è stata danneggiata dal peccato ed è diventata la forma storica di matrimonio nel Popolo di Dio, per il quale Mosè concesse la possibilità di rilasciare un attestato di divorzio(Dt. 24,1ss).”(SINODO DEI VESCOVI XIV ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA.LA VOCAZIONE E LA MISSIONE DELLA FAMIGLIA NELLA CHIESA E NEL MONDO CONTEMPORANEO, LIBRERIA EDITRICE VATICANA P.19)
IL MATRIMONIO NEL NUOVO TESTAMENTO
Il matrimonio è un’istituzione che incontriamo non solo nell’Antico, ma anche nel Nuovo Testamento.
E’ considerato anzitutto una realtà divina (si fonda su un comando divino), e poi una realtà umana (corrisponde alla natura dei due sessi).
Gesù Cristo nel Nuovo Testamento, così come avveniva nell’Antico, riconosce il matrimonio come proveniente dall’atto creatore di Dio e vede nella comunità sponsale la forma originale della società umana.
Con la venuta di Gesù e la riconciliazione del mondo caduto grazie alla redenzione da Lui operata, termina l’era inaugurata da Mosè.
Nel Nuovo Testamento, quindi, il matrimonio assume un significato teologico molto profondo.
L’apostolo Paolo lo caratterizza come “grande mistero” e lo riferisce “a Cristo e alla Chiesa” (Ef. 5,32).
Grazie alla comunione dei due sposi e alla generazione dei figli, il vincolo nuziale attua una duplice apertura: da un lato verso Cristo e, tramite Lui, verso la Trinità, dall’altro verso la comunità ecclesiale e, tramite essa, verso il mondo intero.
Questa apertura verticale e orizzontale rappresenta la dimensione storica ed escatologica della soteriologia del matrimonio.
Esso, in tal modo, non è un evento particolare, ma ricapitola in sé l’intero mistero della salvezza. Gesù riporta il matrimonio e la famiglia alla loro forma originale (Mc. 10, 1-12), restaurandoli a immagine della Santissima Trinità, mistero da cui scaturisce ogni vero amore.
“Il matrimonio, di conseguenza, ricostituisce l’unità perduta e fa entrare di nuovo l’umanità in dialogo con Dio.” (S.S. Fotiou/ A. Marini, G. Patronos/ C. Yannaras, La Cella del vino. Parole sull’amore e sul matrimonio, Ed. Servitium 1997 Troina (EN), p. 70).
Il ragionamento di Paolo è chiaro: il matrimonio, come ordinamento di creazione e il matrimonio dei cristiani come ordinamento di fede costituiscono una profonda unità, poiché in ambedue è presente velatamente, misteriosamente, la realtà cristologica ecclesiologica dell’alleanza attuata in Cristo, la quale designata pertanto come “grande mistero”.
Paolo insegna che il mistero della creazione dell’unione tra uomo e donna, essendo il mistero dell’alleanza definitiva tra Dio e l’umanità, è anche mistero del suo compimento in Cristo e nella chiesa.
“L’alleanza sponsale, inaugurata nella creazione e rivelata nella storia della salvezza, riceve la piena rivelazione del suo significato in Cristo e nella sua Chiesa. Da Cristo attraverso la Chiesa, il matrimonio e la famiglia ricevono la grazia necessaria per testimoniare l’amore di Dio e vivere la vita di comunione”(SINODO dei VESCOVI XIV Assemblea Generale Ordinaria. La Vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, Libreria Editrice Vaticana P.20).
In questo senso teologico, tutti i matrimoni umani prefigurano ma anche raffigurano, in un modo sacramentale, l’unione di Cristo con l’umanità: la creazione della chiesa e la sua manifestazione nel mondo.
“Le donne siano sottomesse ai loro mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, Lui che è il salvatore del suo corpo” ( Ef. 5,22-24) .
In questi versetti Paolo fa seguire l’etica matrimoniale da questo mistero di alleanza e di amore tra Cristo e chiesa: i rapporti tra marito e moglie hanno come modello esemplare il legame d’ amore che unisce Cristo e la chiesa da rivivere nel matrimonio.
Il capitolo 5 di Efesini “suggerisce potentemente che per parlare di etica matrimoniale tra cristiani si deve ricorrere al rapporto Cristo-chiesa e viceversa, per parlare di questo rapporto si può ricorrere ad un’ autentica vita matrimoniale. Il matrimonio è imitazione del rapporto Cristo-chiesa, copia terrena del matrimonio celeste” (G.Barbaglio- S. Dianich, Nuovo Dizionario di Teologia, Ed. Paoline 1988, Milano).
E’ opportuno chiarire la questione della “sottomissione” a cui fa riferimento Paolo.
Nella Trinità il rapporto Padre-Figlio è tutt’altro che un rapporto di sottomissione in senso umano, ma il Figlio esprime la stessa volontà col Padre. Perché la volontà è una della natura comune dei tre. Tutti i tre della Trinità hanno la stessa e medesima volontà. Il Padre non vuole in quanto Padre scrive San Giovanni di Damasco nella sua “esposizione della fede ortodossa”, ma in quanto Dio. Perchè se il Padre voleva in quanto Padre, la volontà sarebbe diversa dal volontà del Figlio (in questo senso il Figlio avrebbe dovuto obbedire alla volontà del Padre). Ma il Padre vuole in quanto Dio e siccome il Figlio e lo Spirito sono Dio la volontà è una. Il Figlio però è stato incarnato e ha anche una volontà umana. Come Dio ha la stessa volontà del Padre e dello Spirito, come uomo ha la stessa volontà con noi, in quanto consustanziale con noi. Come Dio ha la stessa volontà del Padre, come uomo segue la volontà del Padre.
La famiglia è una piccola comunità e ogni comunità ha bisogno di un punto di riferimento. Viene fatto questo parallelismo: Cristo come i mariti sono il capo, mentre la Chiesa come le spose sono il corpo.
“Mariti, amate le (vostre) mogli, come il Cristo ha amato la Chiesa e si è offerto per lei” (Ef 5,25): in questo consiste il sacramento del matrimonio.
Nel Nuovo Testamento dunque nella celebrazione del matrimonio, si attua il potere santificante e redentore di Cristo nella chiesa. Questo sacramento diventa perciò, sin dal momento della creazione, manifestazione della volontà salvifica di Dio.
“Nella persona dunque del marito, la moglie vede l’icona di Cristo, lo sposo dell’ umanità, come, inversamente il marito nella persona della moglie vede l’icona della nuova Eva, la sposa chiesa”. (S.S. Fotiou/A. Marini, G. Patronos/ C. Yannaras, La Cella del vino. Parole sull’amore e sul matrimonio, ED. Servitium 1997 Troina (EN) p. 73 ).
“ Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una sola carne” (Ef. 5,31): in questo versetto viene sottolineata l’ importanza dell’ unità nella distinzione richiamando il rapporto che avviene nello Spirito delle due Persone nella Trinità.
In questa prospettiva “l’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all’ essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, a cui il confronto, a prima vista, tutti gli altri amori sbiadiscono” (Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas est, 25 dicembre 2005) .
A differenza infatti di tutte le altre forme di amore che possono essere definite inclusive, l’amore coniugale è esclusivo.
Quest’idea viene specificata ulteriormente in un’altra epistola dell’apostolo Paolo, dove l’ importanza della relazione tra uomo e donna si colloca sul piano cristologico: “Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’ uomo” ( 1 Cor. 11,3).
Nel rapporto nuziale perciò diventano onore e gloria l’uno per l’altro, la presenza della persona amata diviene motivo di “vanto” nel Signore.
Entrambi rivestono una grande importanza nel campo della reciproca perfezione e divinizzazione: “Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza uomo, né uomo è senza la donna” (1 Cor 11,11).
Il matrimonio perciò diventa via che conduce al regno di Dio.
La donna attraverso il suo uomo e viceversa ed entrambi attraverso il sacramento del loro matrimonio, si trovano a camminare, giorno dopo giorno, verso il regno dei cieli.
Il matrimonio umano quindi non è solo una prefigurazione delle nozze escatologiche dello Sposo con la sposa: dopo la venuta di Cristo e la sua benedizione delle nozze di Cana, esso cessa di essere un semplice “segno” del regno di Dio per divenire reale partecipazione al mistero soteriologico strumento di santificazione e di perfezione dell’umanità.
PARAGONI BIBLICI
Per comprendere meglio il vero valore del matrimonio e la morale matrimoniale mi sembra opportuno fare qualche paragone biblico, iniziando con l’esaminare la figura di Giuseppe, figlio di Giacobbe e patriarca d’Israele (Gn. 37-50).
Le vite dei Santi costituiscono per tutta l’umanità un esempio di vita.
Sant’Ambrogio di Milano nella sua trattazione “Su Giuseppe” lo ha definito “uno specchio di purezza, perchè nella sua forma e nelle sue opere risplende la modestia e lo splendore della Divina Grazia”.
La memoria di Giuseppe “il Pankalos”(il tutto bello) viene ricordata nella Chiesa Ortodossa il Lunedi’ Santo durante la celebrazione della “funzione del Nymfios (Sposo)”.Con questo termine si intende il mattutino del lunedi’, martedi’ e mercoledi’ della Settimana Santa che, seguendo l’antico rito, vengono celebrati la sera precedente (per esempio, la sera della domenica delle palme si celebra il mattutino del Lunedi’ Santo).
Il nome “funzione del Nymfios” trae origine dalla parabola delle dieci vergini, nella quale Cristo parla di matrimoni mistici in cui il Signore arriva nel mezzo della notte. Alcune delle spose arrivano con lampade accese per incontrarlo, altre però arrivano impreparate e non sono in grado di riceverlo (Matteo 25,1-13). Il termine “Nymfios” (Sposo) esprime l’unificante familiarità dell’amore (divino e umano)di Cristo con tutti noi: nella parabola Cristo paragona il Regno di Dio ad un talamo nuziale. Il messaggio centrale di tale funzione indicato anche nella parabola è l’invito alla vigilanza: dobbiamo essere sempre pronti ad accettare Cristo, che è destinato a diventare lo sposo di tutta l’umanità.
La settimana Santa ortodossa si apre proprio ricordando la figura di Giuseppe perchè grazie alla sua vita virtuosa egli diventato noto alla Tradizione patristica e Liturgica, come un “Typos”(stampa, copia)di Cristo, cioè come prefigurazione ed anticipazione della vita e morte del Signore. Per comprendere meglio questo concetto è quindi necessario ripercorrere gli eventi più significativi della vita di Giuseppe.
La Grazia Divina lo ha fatto risplendere sin dall’età infantile.
Una storia commovente e molto profonda: i suoi 11 fratelli ,gelosi della sua bontà che lo ha sempre reso il prediletto del padre, lo odiano a morte, lo gettano in una fossa, lo vendono ai commercianti per pochi soldi e dicono al loro padre che lo hanno trovato con la veste insanguinata.
Il padre, credendolo morto, lo piange, ma Giuseppe dapprima venduto come schiavo in Egitto diventerà re di questo paese, avendo evitato i tranelli della donna che lo ha follemente amato. Alla fine perdonerà i suoi fratelli e darà loro del cibo durante il periodo di carestia.
Davvero significativi nella vita di Giuseppe sono i sogni che ha fatto, in particolare due.
Nel primo sogno Giuseppe sta legando covoni di spighe insieme ai suoi fratelli. Il suo covone resta in piedi mentre quelli dei fratelli lo venerano.
Non si può non notare il valore di quest’immagine: con questo sogno la resurrezione di Cristo, che doveva ancora avverarsi, è stata rivelata.
Nel secondo sogno Giuseppe vede il sole e undici stelle del cielo che lo venerano. Ne resta molto colpito e lo racconta suo padre e ai suoi fratelli.
Suo padre gli chiede adirato di spiegargli il significato di tale sogno, ritenendo impossibile che lui, la madre di Giuseppe e i suoi fratelli possano prostrarsi dinanzi a lui.
Anche questo sogno è la prefigurazione degli eventi della vita di Gesù.
Infatti chi è Colui dinanzi al quale genitori e fratelli sono caduti per terra se non Gesù Cristo?
Giuseppe e sua madre insieme con i discepoli si sono prostrati davanti a Lui e hanno confessato, dentro a quel corpo, il vero Dio che per lui solo era scritto: “ LodateLo sole e luna, lodate Lui tutti gli astri e la luce” (Salmo 148,3).
Giuseppe è stato maltrattato e venduto dai fratelli, che gli hanno preso le vesti, e le hanno macchiate col sangue proprio come Gesù sulla croce perchè tradito e venduto dai fratelli.
Entrambi sono stati spogliati dei loro vestiti ma, a differenza di Adamo ed Eva, non sono nudi.
In verità nessun uomo può mai diventare nudo se non a seguito della colpevolezza. Giuseppe indossa il vestito incorruttibile delle virtù, “Spogliato l’ uomo vecchio con le sue azioni e rivestendo il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore.(Col 3,9-10)
Giuseppe ha assunto il dolore e la morte che gli hanno offerto i suoi fratelli e ha trasformato questo dolore in perdono, bontà, pietà e misericordia prefigurando dunque il ruolo di Cristo.
Giuseppe è rimasto “Pankalos” (tutto bello) quindi perchè non ha permesso che la cattiveria e l’odio lo potessero dominare.
Ha dimostrato allora come si mantiene “bello” colui che accetta di camminare nel dolore inflitto non solo dai nemici, ma anche dai fratelli.
La storia della vita di Giuseppe, la sua vendita in Egitto, la sua schiavitù e il suo ristabilimento, prefigurano il mistero della previdenza di Dio e della sua promessa della salvezza in Cristo.
Il messaggio centrale della sua vita è che la sua schiavitù e la sua “morte” in Egitto si sono trasformati in vita gloriosa.
In questo racconto biblico è già preannunciata la discesa di Cristo come “schiavo” negli inferi, dove ha trasformato la sua schiavitù e la sua morte in vita perenne.
La vera bellezza è questa: entrambi non rispondono all’ odio con altrettanto odio, ma ne spezzano le catene rispondendo con l’ amore puro e incondizionato.
Ambedue le figure sono strettamente connesse al tema del matrimonio:
Gesù sulla croce infatti celebra il matrimonio con la Chiesa, stringe un patto con la realtà umana.
Nel matrimonio i coniugi compartecipano a questo patto, riconoscendo l’uno nell’ altra la vera Bellezza, non una bellezza che abbaglia, ma una realtà che scuote.
Questa considerazione è profondamente biblica: è, per primo, il Creatore nella Genesi che guarda tutta la sua creazione e dice: “tutto quello che è stato creato è molto bello”.
Pertanto tutti gli esseri umani, essendo nati come creature ed avendo la loro origine dal Creatore, portano dentro di loro questa Bellezza primordiale, il Kalos.
Nella vita matrimoniale gli sposi sono chiamati ad imitare l’amore dimostrato da Gesù e da Giuseppe, un amore che non conosce limiti e che va oltre il dolore, alimentando giorno dopo giorno questo senso di Bellezza autentica, fino a divenire Pankalos (tutti belli) come Gesù e Giuseppe.
“La vocazione creaturale all’amore tra uomo e donna riceve la sua forma compiuta dall’evento pasquale di Cristo Signore, che si dona senza riserve, rendendo la Chiesa suo mistico Corpo. Il matrimonio cristiano, attingendo alla grazia di Cristo, diviene così la via sulla quale, coloro che vi sono chiamati, camminano verso la perfezione dell’amore, che è la santità” (SINODO DEI VESCOVI XIV ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA.LA VOCAZIONE E LA MISSIONE DELLA FAMIGLIA NELLA CHIESA E NEL MONDO CONTEMPORANEO,LIBRERIA EDITRICE VATICANA P.50 )
SVOLGIMENTO DEL RITO DEL MATRIMONIO CATTOLICO
La celebrazione del rito del matrimonio cattolico in via ordinaria si compie durante la santa messa, a motivo del legame di tutti i sacramenti con il mistero pasquale di Cristo. Il rito avviene dopo la liturgia della parola, ed è articolato in 4 momenti: le domande sulla libertà, sulla fedeltà e sulla procreazione dei figli; il consenso dei contraenti e la ratifica del sacerdote; la benedizione e consegna degli anelli; la preghiera dei fedeli.
Terminata la liturgia della Parola e l’Omelia, si svolge dunque la Liturgia del Matrimonio. Il consenso degli sposi è preceduto dall’interrogatorio del sacerdote, circa la libertà, la fedeltà, l’accoglienza e l’educazione dei figli. Questa è la prima forma. Ma c’è una seconda forma, totalmente rinnovata, in cui gli sposi dichiarano le loro intenzioni a se stessi, pronunciando insieme l’impegno ad amarsi e sostenersi l’un l’altro per tutta la vita, e ad accogliere con amore i figli che Dio vorrà loro donare ed educarli secondo la Parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa. Gli sposi invitano poi i fratelli e le sorelle presenti a pregare con loro e per loro, perché la nascente famiglia cristiana diffonda nel mondo luce, pace e gioia.
La manifestazione del consenso può esprimersi scegliendo una delle tre forme riportate dal rito. La prima, quella più conosciuta, così recita:
“Io accolgo te come mio/a sposo/a, con la grazia di Cristo, prometto di esserti fedele sempre nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”. La seconda forma, più coinvolgente ed espressiva, è un dialogo tra lo sposo e la sposa: “Vuoi unire la tua vita alla mia, nel Signore che ci ha creato e redento?” L’altro risponde: “Sì, con la grazia di Dio, lo voglio”, e insieme gli sposi proclamano: “Noi promettiamo di amarci fedelmente nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di sostenerci l’un l’altro tutti i giorni della nostra vita”. L’inciso “con la grazia di Dio” ribadisce la sacramentalità del vincolo e che solo con la grazia del Signore gli sposi possono affrontare e superare le difficoltà della vita quotidiana. E’ una marcia in più che hanno nei confronti di coloro che scelgono il matrimonio civile o che hanno disatteso il dono del Battesimo. Nella terza forma, da usarsi nei casi di vedovi, anziani, o per altri motivi pastorali, il sacerdote richiede il consenso sotto forma di domanda: “vuoi accogliere N.N. come tuo/a sposo/a nel Signore, promettendo di essere sempre fedele nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarlo/a, onorarlo/a tutti i giorni della tua vita?” Gli sposi rispondono “sì”.
Secondo la tradizione latina, sono gli sposi, come ministri della grazia di Cristo a conferirsi mutuamente il sacramento del “ matrimonio” (Catechismo Della Chiesa Cattolica, N 1623. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano,1999).
Il sacerdote è testimone del reciproco consenso scambiato tra gli sposi, ma per la validità del sacramento è necessaria la loro benedizione che viene collocata dopo la recita del Padre Nostro, prima della comunione.
La struttura del rito “ mette in rilievo che il matrimonio, vincolo tra l’uomo e la donna, è la radice del sacramento; il vertice è l’ eucarestia con la benedizione” (Matias Augè “Liturgia. Storia Celebrazione Teologia Spiritualità. Ed. San Paolo s.r.l., 1992 Cinisello Balsamo (MI) p 193).
Nell’eucarestia si realizza il memoriale nella quale Cristo si è unito per sempre alla chiesa, sua Sposa per la quale ha dato se stesso.
Per questo è importante che gli sposi “suggellino il loro consenso a donarsi l’uno all’altro con l’offerta delle proprie vite, unendola all’offerta di Cristo per la sua Chiesa, resa presente nel sacrificio eucaristico, e ricevendo l’ Eucarestia, affinchè, nel comunicare al medesimo Corpo e al medesimo Sangue di Cristo, essi formino un solo corpo in Cristo”( Catechismo Della Chiesa Cattolica, N 1621. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano,1999).
I protagonisti dell’alleanza matrimoniale sono un uomo e una donna battezzati che esprimono liberamente, senza alcuna costrizione, il loro consenso.
Lo scambio del libero consenso tra gli sposi è fondamentale per la validità del matrimonio, se mancasse questa parte il matrimonio sarebbe nullo.
Il consenso consiste in un “atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono” (Concilio Vaticano II, Cost.past. Gaudium et spes,48).
“Io accolgo te come mia sposa…” “Io accolgo te come mio sposo…”.
Questo consenso che lega reciprocamente gli sposi tra loro, trova la sua attuazione e il suo compimento nel fatto che i due diventano “una carne sola”(Gn. 2,24 ).
“Il sacerdote (o il diacono)che assiste alla celebrazione del Matrimonio, accoglie il consenso degli sposi a nome della Chiesa e dà la benedizione della Chiesa.
La presenza del ministro della Chiesa(e anche dei testimoni) esprime visibilmente che il Matrimonio è una realtà ecclesiale .” (Catechismo Della Chiesa Cattolica, N 1630. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano,1999).
“Questo mistero grande”, come lo chiama S. Paolo (Ef 5,32),infatti non riguarda solo gli sposi, i parenti e gli amici, ma tutta la comunità ecclesiale. Non è un avvenimento privato da regolare a piacimento, ma deve essere espressione della comunità. L’invito, pertanto, a celebrare le nozze nella propria parrocchia, dove si è fatto un cammino di fede, dove si vive la propria spiritualità, dove si è inseriti nei vari gruppi o associazioni, e dove magari si è stati rigenerati alla fede con il Battesimo. E’ possibile la celebrazione in altre chiese non parrocchiali, purché siano aperte al pubblico ed abbiano la partecipazione di una “qualche comunità”.
La natura ecclesiale è evidenziata dai riti d’ingresso, dall’accoglienza che il sacerdote compie ricevendo gli sposi in fondo alla chiesa, e recandosi processionalmente, accompagnato dai testimoni, dai genitori e dai ministranti, al luogo loro riservato. Nell’ammonizione iniziale, poi, il sacerdote rivolge ai fedeli l’invito al coinvolgimento con gli sposi per una celebrazione attenta, devota e partecipe, consapevole che la nascente famiglia poggia sulla preghiera della comunità cristiana per la buona riuscita del matrimonio. Un’altra caratteristica, sottolineata nei testi del rito, è la presenza viva ed efficace dello Spirito Santo nella coppia cristiana. Già la benedizione nuziale dopo il consenso, rivela l’opera dello Spirito Santo nel matrimonio. La benedizione, infatti, è un atto di riconoscenza al Dio della creazione, è un’invocazione fiduciosa dello Spirito nella cui forza si realizza, il mistero. |
Il matrimonio è un atto liturgico, perciò è importantissimo che venga celebrato nella liturgia pubblica della Chiesa. Questo consenso è sugellato da Dio stesso.
L’alleanza degli sposi entra a far parte dell’Alleanza di Dio con gli uomini. “L’autentico amore coniugale è assunto nell’amore divino”. (Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes,48).
Il vincolo matrimoniale è quindi stabilito da Dio stesso ed è per questo motivo che il matrimonio concluso e consumato tra due battezzati non può mai essere sciolto.
SIGNIFICATO SIMBOLICO DELLE FEDI NUZIALI
Il segno più durevole nel tempo, come simbolo d’amore è la fede.
La forma sferica rappresenta la perfezione di una unione, l’unione delle vite di due persone innamorate in una sola, mentre il materiale, solitamente l’oro, rappresenta l’eternità. Nella religione cristiana, infatti, l’oro giallo e da sempre simbolo di eterno: non a caso d’oro sono gli sfondi delle icone e delle decorazioni di molte chiese, e d’oro sono le aureole dei santi.
Perché la fede si mette sul dito anulare sinistro (per i cattolici per gli ortodossi si mette a destra)
La parola anulare deriva proprio dal latino “anulus” e significa anello.
La tradizione affonda le sue origini all’antichità, pare che già le spose egiziane avessero l’abitudine di portare la vera all’anulare perché si pensava che da lì passa una vena che si irradia direttamente verso il cuore.
Successivamente questa consuetudine è passata alla tradizione religiosa cristiana, in cui l’anulare sinistro è il dito che il sacerdote tocca dopo i primi tre con l’invocazione Padre-Figlio-Spirito Santo.
Perchè si chiama fede o vera questo anello?
In russo vera vuoi dire “fede”, sicché il nome significherebbe in senso traslato “colei che ha fede” oppure “chi infonde fede”. Questo significato divenne talmente diffuso che persino le “fedi”, ossia gli anelli matrimoniali si chiamarono popolarmente “vere”, e infatti tuttora si dice la “vera nuziale”. La traduzione del nome Vera in “Fede” risale ad una antica leggenda russa che però è narrata anche in molti altri Paesi dell’Europa. Si racconta che una nobile cristiana venne martirizzata mentre pregava sul sepolcro delle sue tre figlie, già martiri. Lei si chiamava Sofia e le tre figlie Fede, Speranza e Carità. In realtà la leggenda cela un insegnamento: la Sofia, ossia la Sapienza divina può essere raggiunta dal fedele soltanto attraverso le virtù teologali della Fede, la Speranza e la Carità. La venerazione per questa Santa immaginarla e le tre figlie era molto diffusa nell’area greco-bizantina, dove furono erette molte basiliche dedicate a Santa Sofia. E siccome la fede nuziale è simbolo di unione, armonia e fedeltà reciproca (infatti in molte regioni d’Italia si chiama anche “vera”, parola che in idioma veneto-slavo significa proprio fedeltà). In russo “fede” si dice vera, ecco che Santa Fede divenne nell’immaginario popolare Santa Vera e il nome si diffuse in tutti i paesi slavi.
La fede nuziale è simbolo di unione, armonia e fedeltà reciproca (infatti in molte regioni d’Italia si chiama anche “vera”, parola che in idioma veneto-slavo significa proprio fedeltà).
Svolgimento del rito del matrimonio Ortodosso.
ll rito matrimoniale ortodosso è composto da due funzioni, un tempo separate, e oggi fuse in un’unica celebrazione. La prima, il fidanzamento (in originale greco Arrabon), è la solennizzazione delle promesse di matrimonio; la seconda, che potremmo definire il matrimonio vero e proprio, è chiamata nella tradizione ortodossa incoronazione (stefanoma, in originale greco), un nome che viene dalle corone poste sul capo degli sposi.
In altri tempi e in altre società, i matrimoni erano organizzati tramite accordi tra le famiglie degli sposi, e spesso erano programmati quando i futuri sposi erano ancora in età molto giovane (adolescenti, o addirittura preadolescenti). In tali casi si capiva un desiderio di solennizzare le promesse di matrimonio con un appropriato rito di fidanzamento, in modo da annunciare a tutta la comunità dei credenti che due giovani erano promessi l’uno all’altra, anche se ancora il loro matrimonio non era stato celebrato. In secondo luogo il rito del fidanzamento era riservato per le donne che non erano arrivate vergini al matrimonio o per persone che avevamo rapporti prematrimoniali. Quelle persone si fermavano solo al rito del fidanzamento e non facevano l’incoronazione. E’ considerato un vero rito. Poi piano piano è caduto in disuso, perché le famiglie non volevano far sapere nelle società che i loro figli e figlie avevano già avuto rapporti prematrimoniali. Per questo i due riti si sono fusi. Oggi anche due famiglie lo possono fare se voglio ufficializzare il fidanzamento e poi fare l’incoronazione il giorno delle nozze. Ma se si separano, hanno bisogno del divorzio. Per questo lo si fa solo a persone convinte e che frequentano la Chiesa e non a tutti.
In terzo luogo oggi ci si sposa per lo più di propria iniziativa e con il partner di propria scelta, e quindi non ha più senso celebrare in chiesa un fidanzamento separato dal matrimonio: ecco perché le funzioni del fidanzamento e dell’incoronazione sono fuse in una sola celebrazione.
Tuttavia, vale la pena ricordare come gli stessi libri delle funzioni ancora prevedono la possibilità che il fidanzamento e il matrimonio siano celebrati in due occasioni distinte. La cerimonia prevede fidanzamento e sposalizio lo stesso giorno ed inizia dall’officio del fidanzamento, che si celebra in fondo alla chiesa. Il fidanzamento ha luogo con la consegna degli anelli, da cui il nome “rito degli anelli”. È in questo momento infatti che avviene lo scambio degli anelli. Il “rito dell’ incoronazione” di solito si tiene subito dopo e consiste nell’ imposizione delle corone. Quest’ultimo rito inizia col canto del Salmo128 (127), che è stato scelto specialmente per la sua finale dal profondo significato.
Il Salmo 128 infatti invoca il Signore e chiede la sua benedizione da Sion. Questo nome significa nello stesso tempo il luogo della salvezza (Isaia 46,13) e Gerusalemme, sinonimo del regno messianico che la letteratura apocalittica chiamerà Gerusalemme celeste, sposa del Signore.
Questo richiamo, intensamente significativo, accompagna gli sposi al di sopra degli orizzonti terreni insegnando loro il costante e vero atteggiamento coniugale. Infatti, in ogni momento, “tutti i giorni della sua vita”, l’uomo dalla terra guarda l’Oriente; gli sposi sulla terra anticipano l’ ascesa di Sion.
“Dopo la divina liturgia, durante la quale hanno ricevuto la santa comunione, i fidanzati si presentano dinnanzi alle porte regali, l’uomo di fronte all’icona di Cristo e la donna all’icona della Theotokos [madre di Dio],figura della chiesa. Restano brevemente in raccoglimento presso l’immagine archetipica del matrimonio secondo san Paolo: l’unione del Cristo e della chiesa.
I due anelli sono depositati al centro del presbiterio, sulla mensa dell’altare; in questo modo sono accostati al mistero del regno e, simboli del nuovo destino ,stanno a significare la dimensione in cui il sacramento introduce la coppia.”(NIKOLAEVIC EVDOKIMOV, SACRAMENTO DELL’AMORE il mistero coniugale alla luce della tradizione ortodossa – ED. SERVITIUM 1966,P.192)
Il sacerdote, dopo aver ricevuto dai fidanzati l’assicurazione di presentarsi in tutta libertà davanti a Dio, li benedice con i ceri nuziali accesi, che poi i due terranno in mano durante il rito.
La luce dei ceri simboleggia la memoria del principio: “La luce sia”; essa rimanda quindi al momento della creazione (precedente la caduta) e alle parole istitutive dell’unità coniugale nel Paradiso. La fiamma inoltre richiama le lingue di fuoco della Pentecoste: i fidanzati stanno nell’attesa della discesa della grazia, loro Pentecoste coniugale.
Il sacerdote incensa i fidanzati con il segno della croce. Questo gesto ha un forte valore simbolico poiché fa riferimento alla narrazione di Tobia: il fumo scacciava i demoni rendendo così il luogo puro e santo.
All’inizio di questa nuova vita coniugale viene fatto il segno della croce per il suo potere protettivo.
Terminate le litanie, il sacerdote pronuncia una prima preghiera invocando la grazia divina, affinchè venga reso indistruttibile il vincolo dell’amore.
Come la chiesa è chiamata a radunarsi dall’estremità della terra (Didachè cap.9) così l’amore dei fidanzati, nella sua stessa ispirazione, è orientato verso la comunione eucaristica.
La seconda preghiera ci mostra l’archetipo divino del matrimonio, sugellando infatti l’unione degli sposi di Cristo con la Chiesa. Dio guida i loro passi e li protegge.
La terza preghiera rivela il significato della consegna degli anelli. Tale significato viene approfondito ed esplicitato nei riti armeno e siriaco: lo scambio delle croci battesimali, secondo un’antica usanza, esprime la “reciproca consegna del destino” (N. Evdokimov, Sacramento dell’amore – il mistero coniugale alla luce della tradizione ortodossa Ed. Servitium 1966, P. 194).
La preghiera del rito bizantino parla di Giuseppe: il sigillo regio riportato sull’anello rappresentava il segno del suo potere e il pegno che confermava la fiducia e la fedeltà del re verso di lui.
Anche nella parabola del figliol prodigo, quando il figlio ritorna a casa, il padre gli fa indossare l’anello, simbolo del perdono concesso.
L’unione dei fidanzati è quindi sugellato dall’anello della promessa divina.
E’ la sintesi della storia dell’umanità: il figlio di Dio viene salvato dalla fedeltà del Padre per amore di tutti noi. Dopo il rito dell’incoronazione, il sacerdote precedendo gli sposi fa loro compiere tre giri attorno all’altare, dove si trovano i Vangeli.
Il triplice giro ha un profondo significato simbolico, poichè viene sottolineata l’importanza del simbolo del cerchio che rappresenta l’ eternità ed ha anche una funzione protettiva.
La preghiera finale offre la benedizione agli sposi per una lunga vita ed una discendenza numerosa e li pone di fronte al loro compito apostolico, ossia la testimonianza della loro fede attraverso la vita, il loro sacerdozio coniugale.
INDISSOLUBILITA’ DEL MATRIMONIO E DIVERSE PRASSI DELLE DUE CHIESE: ANNULLAMENTO E DIVORZIO.
Il Matrimonio viene definito nella teologia ortodossa:
“il sacramento per il quale, mentre il sacerdote pone l’uno nell’altra la mano degli sposi e implora su di loro la benedizione di Dio, la grazia divina scende su di loro e li unisce indissolubilmente per tutta la loro vita, per il mutuo aiuto e per la generazione dei figli in Cristo”.
Nel precedente capitolo abbiamo spiegato la motivazione teologico-filosofica dell’indissolubilità del matrimonio, seguendo la teologia di San Giovanni Crisostomo sul tempo. La perennità di Dio viene concepita come abbiamo visto, come uno che ama che non cambia idea. L’uomo ha tempo perché oggi ama e domani cambia idea. La Chiesa insiste come tutti i cristiani debbano arrivare a vivere come Dio, senza tempo, in un continuo amore, senza cambiare idea. Ecco perché gli sposi, presa la loro decisione chiedono l’aiuto della grazia di amarsi per sempre, senza tempo.
Anche per la teologia cattolica in matrimonio è “indissolubile”, come afferma la teologia ortodossa. L’indissolubilità del matrimonio è comune nelle due Chiese.
Esiste però una differenza importante delle due Chiese. Essa viene dal fatto che il matrimonio, composto da persone umane che vivono nella caduta, possa fallire nel tempo. Questo crea una diversa prassi delle due Chiese che sarà molto importante studiare ulteriormente.
Per la Chiesa cattolica dato che il matrimonio non può in nessun modo essere sciolto, il matrimonio viene annullato dalla Sacra Rota.
Per la Chiesa ortodossa però non esiste il concetto di annullamento di un sacramento. Cosa significa annullare un sacramento? Cosa significa non si è mai avverato? Come è possibile annullare promesse degli sposi, speranze condivise, vita comune e dire che tutto ciò non è mai stato? Poi che senso teologico ha annullare il sacramento? Come per esempio la chiesa può annullare il battesimo? Con esso unisce il bambino con Dio, lo strappa dalle mani di Satana e lo consegna in una vita diversa. Come può annullarlo? Lo riconsegna di nuovo al Satana? Ma lo scopo della Chiesa non è questo. Per questo la chiesa ortodossa usa la logica del divorzio e prevede un secondo rito per i “δίγαμοι” (bigami) o un terzo per i τρίγαμοι (trigami).
Ma anche questa prassi non ha senso teologico per la chiesa Latina. Come si può credere che il matrimonio sia indissolubile e poi la stessa Chiesa concedere il divorzio e permettere un secondo e addirittura un terzo rito. Che valore sacramentale possa mai avere un secondo matrimonio? Come può la Chiesa, da una parte unire due persone per sempre, affermare i due saranno per sempre una carne sola e nessun uomo osa separare ciò che Dio ha unito e, dall’altra parte la stessa Chiesa, separa, dà il divorzio e ripete lo stesso rito e le stesse promesse con altre persone.
Non è facile trovare un accordo fra la due prassi delle Chiese, e noi cerchiamo solo di capire le logiche che sono molto importanti.
I Padri antichi affermano che il matrimonio è monogamico. Abbiamo visto che il matrimonio, per la Chiesa ortodossa assomiglia molto con il monachesimo. Il monaco fa il salto ed arriva a vivere come saremo tutti nell’altra vita. Lo sposato sceglie la moglie e poi la famiglia e poi arriva anche lui a vivere come i monaci. Vivere da non sposati, come monaci san Paolo lo considera la perfezione. Siccome non tutti possono arrivare subito alla perfezione, si sposano. Ma lo scopo finale è arrivare alla perfezione e non rimanere lì. Per questo il matrimonio è monogamico sempre. San Gregorio afferma “se esistono due Cristi sarebbero esistiti due uomini e due donne. Ma se esiste solo un Cristo, un capo della Chiesa, una carne la seconda non deve esistere” (orazioni XXXVII, 286). L’antica Chiesa e gli antichi Padri avevano questa concezione del matrimonio, solo monogamico.
Però la storia umana a volte conduce ad altre direzioni. E’ importante seguire il processo storico. Il cristianesimo diventa una religione di stato all’epoca Bizantina. La società allora dell’epoca si basa sul matrimonio cristiano monogamico fra un uomo e una donna. Questa società riconosce solo il matrimonio cristiano. I figli di questo matrimonio erano considerati legittimi mentre i figli delle altre unioni erano illegittimi. Un imperatore di Bisanzio se voleva dei figli che possano regnare devono per forza seguire la prassi della Chiesa (in quell’epoca le chiese non erano divise) Ma sappiamo che gli imperatori non erano perfettamente etici. Per cui capitava spesso che si separavano e si risposavano. O che morisse la loro moglie, per cui dovevano risposarsi di nuovo con un secondo rito. Anche il secondo rito a causa della morte di un coniuge non era considerato dall’antica chiesa come il primo, perché neppure la morte può sciogliere il vincolo del matrimonio. Se gli imperatori si sposavano di nuovo, o perché la moglie era morta o perché la prima non gli aveva dato dei figli o a causa delle loro passioni, dovevano farlo in Chiesa. Altrimenti non sarebbe stato mai valido il matrimonio e i figli da questo non avrebbero mai potuto regnare. Gli imperatori avevano molto potere su tutta la Chiesa. Ecco perché dal X secolo appare nella società bizantina il secondo rito. Per cui già dal X secolo apparivano eucologi con il secondo o il terzo rito per i digami e i trigami. Il rito per i bigami aveva un senso penitenziale ma prevedeva anche l’incoronazione, che era riservato solo per quelli che non avevano rapporti prematrimoniali. Molti padri hanno scritto contro e hanno accusato questa prassi della Chiesa (indivisa ancora). E’ importante seguire Teodoro lo studita che ha difeso l’ortodossia dagli iconoclasti. Esso ammette la possibilità di un secondo matrimonio, ma ritiene opportuno che le seconde nozze siano contratte “τοις ανθρωπίνης καθήκουσιν, cioè in base alle disposizioni previste dal diritto civile per il matrimonio. L’incoronazione degli sposi al contrario deve essere riservata esclusivamente a coloro che si sposano la prima volta, poiché le corone sono appunto il segno della vittoria verginale degli sposi che si uniscono senza aver ceduto alle passioni. Come può essere imposta la corona a chi si sposa per la seconda volta? E per la terza?
(Alcuni la mettevano sulle spalle per il coniuge che si sposava la seconda volta e sulla testa per il coniuge che si sposava la prima volta) Anche alcuni compromessi adottati da qualcuno sono ridicoli secondo Teodoro. In realtà la benedizione divina su coloro che si sono uniti in matrimonio, di cui le corone sono il segno, non può essere divisa. La benedizione del coniugo nuziale, secondo Teodoro, è stata dalla creazione dell’Adamo e Eva e dalla benedizione a loro da parte di Dio. Da essa dipende la benedizione di ogni matrimonio monogamico, come monogamico era il matrimonio di Adamo e Eva. Del resto è inaccettabile che in seguito una parte possa ricevere la comunione e l’altra esserne privata, perché è in penitenza. Se la parte che non può ricevere la comunione è l’uomo, che è il capo della moglie, e se per il matrimonio ambedue le parti aderiscono fino a punto a formare un unico corpo, come è possibile che partecipi all’eucaristia il resto del corpo e il capo no? Verrebbe così diviso subito quello che era stato unito mediante la preghiera sacerdotale. Teodoro afferma che è giusto che la parte vergine resti priva della benedizione e dell’incoronazione, in quanto, essa non ha rispettato l’ordine delle cose secondo cui “ il puro con il puro deve essere unito e la vergine con il vergine e colui che vince con quello che vince” La parte vergine viene cosi punita perché non avrebbe dovuto sposare un bigamo. Solo al termine della penitenza inflitta dalla Chiesa i bigami potranno nuovamente accostarsi all’eucaristia. Anche il patriarca di Costantinopoli Fozio stabilisce che i preti, che non si fossero attenuti a questo divieto (cioè di non sposare i bigamoi) anche soltanto per ignoranza, devono astenersi dalla divina liturgia per tempo pari alla penitenza fissata per i bigamoi. Fozio giudica con maggiore mitezza i casi in cui si tratta di un secondo matrimonio di una donna. Dal momento che l’Apostolo Paolo aveva consigliato alla donna il secondo matrimonio a motivo della sua debolezza, il prete che benedice queste nozze o non è punito o è punito con penitenze miti. Inoltre quelli che si sposano con le donne ripudiate sono giudicati in modo differente a secondo con i casi. Lo stesso vale per i preti che benedicono queste nozze. Quando la separazione viene per motivi che potrebbero essere assimilati a dei casi di nullità, come l’impotenza fisica di uno degli sposi o il difetto di età, allora il secondo matrimonio è lecito. Alla donna ripudiata per adulterio non è mai permesso un secondo matrimonio. Il prete che lo benedice è punito con la deposizione. Inoltre una donna ripudiata dal marito senza un motivo valido, ma solo per un odio irragionevole, che contrae un secondo matrimonio, non vengono imposte le penitenze per le adultere. Le decisioni di Fozio conservano il divieto di un rito religioso per le seconde nozze, ma mostrano nello stesso tempo un certo indebolimento dell’osservanza di questa proibizione, poiché lasciano intendere facilmente le punizioni per i preti che trasgredivano tale divieto o non erano imposte o venivano imposte con grandi mitigazioni.
Dopo la morte della prima moglie Teofanò l’imperatore Leone VI si sposò con l’amante Zoè Zaustina. Al matrimonio si oppose il patriarca Antonio Kauleas che rifiutò di benedire le nozze. Tuttavia l’imperatore trovò un prete che lo fece. Il prete venne punito con la deposizione. Lui venne punito, non per aver celebrato un secondo matrimonio, ma a motivo della relazione adulterina che aveva legato gli sposi prima delle nozze. Zoè morì senza dare un figlio maschio. L’imperatore non aveva un erede, dopo due matrimoni. Ma il terzo matrimonio alla Chiesa era al di là di ogni legge. E la legislazione bizantina era adeguata con le regola della Chiesa. Se qualcuno si fosse sposato con il terzo matrimonio i figli sarebbero stati illegittimi. Anche Leone, nella Novella XC, decretò che dovevano essere applicate le penitenze canoniche prescritte a coloro che contraevano il terzo matrimonio. Leone VI decise di sposare in terze nozze. Non sappiamo da chi venne sposato l’imperatore e come (con o senza l’incoronazione). Dal momento che lo stesso imperatore aveva stabilito che il rito religioso fosse l’unica forma legittima di contrare matrimonio. L’imperatore non avrebbe potuto proclamare Eudocia come Augusta e imporre a lei la corona imperiale, se il suo non fosse un matrimonio religioso. Appena un anno dopo, anche Eudocia morì senza aver dato l’erede maschio. L’imperatore divenuto vedovo per la terza volta introdusse a palazzo, come concubina, Zoè Karbonospina, senza voler sposarla. Ma Zoè partorì un figlio maschio nel 905, Kostantino il Porfirogenito (nato nella porpora). A questo punto la questione del matrimonio divenne urgente, per poter riconoscere il Porfirogenito come legittimo successore della dinastia Macedone. Leone riuscì ad ottenere dal patriarca Nicola il mistico il consenso per il battesimo, in cambio l’imperatore doveva lasciare Zoè. Separarsi da Zoè però significava riconoscere l’illegittimità dell’unione, gettando un serio dubbio sulla legittimità della successione dinastica. Così un mese dopo, il primo maggio 906, Leone e Zoè vengono incoronati dal presbitero Tomaso. Il patriarca prende una posizione dura contro di loro. Dopo aver deposto il presbitero, impose all’Imperatore la penitenza canonica e gli proibì di entrare in chiesa. Leone per poco accettò, ma quando vide che il patriarca gli vietava l’ingresso a Santa Sofia il Natale del 906 e poi anche per la festa dell’Epifania il 6 gennaio 90, passò al contrattacco. Nel gennaio 907 il patriarca venne allontanato; si riunì un sinodo, alla presenza dei legati romani e dei rappresentati degli altri patriarcati, che dichiarò valide le quarte nozze di Leone ed elesse un nuovo patriarca Eutimio. Il sinodo accettò allora le quarte nozze dell’imperatore per condiscendenza pastorale, ma esso non si espresse circa il quarto matrimonio in generale. Nicola reagì e molti vescovi erano uniti a lui aprendo uno scisma. Il Patriarca Eutimio consentì all’imperatore di entrare in chiesa solo nella veste di penitente, prese misure canoniche contro il presbitero Tomaso, e non fu meno fermo del predecessore nel rifiutare a Zoè il titolo di Augusta. Ciononostante il conflitto all’interno della Chiesa (ancora indivisa) tra i sostenitori della condiscendenza pastorale e quelli del rigore della norma continuò a lungo anche dopo la morte dell’imperatore. La frattura interna alla chiesa Costantinopolitana si estese anche al rapporto con Roma (il papa ha riconosciuto il 4 matrimonio), mostrando l’isolamento di Costantinopoli nell’affermare l’assoluta inammissibilità delle quarte nozze. Lo scisma si concluse nell’anno 920 con la promulgazione da parte del Concilio di un decreto, redatto da Nicola il Mistico e approvato dall’imperatore Costantino VII, conosciuto con il nome di “volume di unità” (τόμος ενώσεως). Il quarto matrimonio non è ammesso in nessun caso. Il terzo matrimonio, benché considerato come un aborto (ως ρύπασμα) può essere tollerato in alcuni casi e sotto particolari condizioni. Un uomo che ha compiuto 40 anni e non ha avuto figli dai precedenti matrimoni, può contrarre un terzo matrimonio, ma sarà escluso per 5 anni dalla comunione. Al quarantenne che ha già dei figli, è invece assolutamente proibito il terzo matrimonio. A 30 anni chi si sposa per la terza volta, anche se ha già avuto dei figli, sarà escluso dalla comunione per 4 anni, se non ha figli la penitenza durerà 3 anni. Infine anche se non viene detto esplicitamente, il secondo matrimonio viene messo sullo stesso piano del primo.
Molti secoli passarono, passando dalla rigidità fino all’apertura per quel che riguarda il secondo matrimonio. Diversi libri liturgici (eucologi) si succedono manoscritti fino alla definitiva affermazione del rito del secondo matrimonio dal secolo XIII in poi. Da uno sguardo complessivo sui eucologi e manoscritti è possibile notare come continuano a giocare un ruolo di grande importanza le preghiere dei riti più antichi. Non mancano però dei riti che contengono delle preghiere diverse, ma sono più rari. Tuttavia sarà uno di questi che verrà utilizzato degli editori degli eucologi stampati e che finirà col soppiantare gli altri. Per quanto riguarda l’uso delle corone, si osserva come il divieto di incoronare di bigamoi, sopravviva ancora nei secoli XV-XVI, almeno nelle rubriche liturgiche.
La Chiesa Ortodossa ha ereditato dalla storia, come abbiamo visto, il secondo e ancora il terzo rito per i bigamoi e i trigamoi. Per il teologo morale S. Privitera questo è un paradosso dal punto di vista teologico morale. La Chiesa Ortodossa da un lato afferma categoricamente l’indissolubilità del matrimonio, mentre poi dall’altro accetta di fatto la possibilità del secondo e terzo matrimonio. Se il primo è indissolubile, il concetto dell’indissolubilità non può tollerare compromessi: l’indissolubilità del matrimonio o è tale, e in questo caso nulla potrà mai dissolverla, o non è tale. A nulla serve affermare che il secondo matrimonio non è un sacramento. Il concetto dell’indissolubilità esclude qualunque forma di matrimonio o convivenza. Tollerale un secondo matrimonio, anche se non è un sacramento, significa in fondo ritenere dissolubile il primo matrimonio-sacramento. Affermare poi che la Chiesa tollera il secondo matrimonio per permettere ai divorziati di raggiungere la vita eterna è un altro paradosso ancora più grande. Permettere di raggiungere la vita eterna ai divorziati significa ritenere il loro atteggiamento moralmente buono e retto, ma con quello moralmente cattivo ed errato il paradosso diventa enorme, poiché significherebbe che si può anche vivere con atteggiamento cattivo e comportamento errato e raggiungere ugualmente, per la condiscendenza della Chiesa, la vita eterna. Si potrebbe dire allora che la possibilità di raggiungere la vita eterna si identifica con giudizio moralmente buono sull’atteggiamento e giudizio moralmente errato sul comportamento. In tal caso però si dovrebbe, non solo considerare il secondo matrimonio peccato, ma anche non tollerato dalla prassi.
Come notiamo la mentalità delle due Chiese è completamente diversa. Prima di tutto il secondo matrimonio per la Chiesa Ortodossa è un sacramento e viene considerato buono e non cattivo. Viene dato alle persone che hanno “fallito” nella vita e sono arrivate a sbagliare. La Chiesa è lo spazio quello che permette all’uomo di sbagliare e di correggere il suo errore. Non abbassa l’ideale. Afferma che il vero matrimonio deve essere monogamico, ma accetta dall’altra parte che l’uomo non è perfetto. Che Essa è lo spazio dove riconosce la debolezza dell’uomo e propone una terapia. Mentre la Chiesa cattolica discute se il matrimonio è solubile o indissolubile, nel tentativo di trovare una soluzione alla spinosa questione dei divorziati che vorrebbero risposarsi, nonostante il rito matrimoniale esprima chiaramente il carattere indissolubile del matrimonio cristiano, la tradizione ortodossa non discute affatto di ciò, ma semplicemente ha un rito per coloro che si uniscono in seconde nozze, perché appunto insiste sul carattere terapeutico della Chiesa. La tradizione ortodossa attraverso il rito per le seconde nozze non canonizza la realtà di oggi dove esiste il peccato. Tanto ai preti proibisce chiaramente il secondo rito e chi è bigamo non potrà mai diventare sacerdote. Al contrario intende offrire all’uomo un aiuto, perché nonostante le ferite del peccato, egli possa giungere sia pure lentamente il più vicino possibile all’ideale.
“Nella funzione per le seconde nozze”, come osserva Andrea Palmieri, nel suo libro “il rito per la seconde nozze nella chiesa greco-ortodossa” “si manifesta un azione mirante a limitare il male e soprattutto a rimettere in movimento il cammino della realtà verso l’ideale. Questa Azione continua Palmieri, che potrebbe essere definita terapeutica non consiste tanto nel ristabilire la situazione che precedeva le ferite causate dal peccato, quanto piuttosto nell’andare incontro all’uomo nella sua fragilità e debolezza, perché almeno abbia una nuova opportunità di compiere il bene possibile. L’azione terapeutica, esercitata dalla Chiesa mediante il rito per le seconde nozze, corrisponde all’agire stesso di Dio. Egli non accondiscende al peccato, ma si accosta con condiscendenza alle condizioni oramai determinate dal peccato aprendo in esse una via di guarigione.”
“Le preghiere penitenziali proprie del rito per le seconde nozze”, continua Palmieri, “infatti non solo tratteggiano una realistica rappresentazione della condizione umana segnata dal peccato, ma nello stesso tempo ricordano l’opera redentrice che Dio continua a realizzare per mezzo della Chiesa in vista alla guarigione dell’uomo”. Se Dio è l’unico senza peccato, la condizione dell’uomo è invece segnata dal peccato. L’uomo anche se volesse, non è capace di non peccare, ma continua a sbagliare. Nel peccato si manifesta la piccolezza e la debolezza dell’uomo, che non è in grado di sopportare il peso della realtà in cui è immerso. Dio con la sua opera redentrice si muove verso l’uomo e non lo lascia nella disperazione. Inchina i cieli discende alla debolezza e mostra la vera vita con la croce e la resurrezione, liberando l’uomo dalla morte e dal diavolo. Solo Cristo è il vero medico. La cura prescritta non deve essere così aggressiva da diventare insopportabile per il malato. Così Cristo come medico sapiente dice Palmieri, ha stabilito mediante l’apostolo Paolo che l’uomo il quale non è in grado di raggiungere l’ideale, compia solo il bene possibile. Quello che ognuno di noi possa fare. Il secondo matrimonio in questo senso non è il minor male possibile, come pensa S Privitera, che possa fare l’uomo, ma il minor bene possibile. “se non puoi digiunare 40 giorni” dice un eremita nel “Gerontikon” (letteralmente: libro dei vegliardi) digiuna almeno 20. Se non puoi 20 almeno 10. Se non puoi 10 almeno 1. Se non puoi uno almeno ore. Non diventerai mai un asceta ma diventerai affaticabile dentro di te”.
Il minor bene possibile è un’azione terapeutica per ognuno che comprende anche la penitenza non solo nel rito, ma anche a quella sottoposta ai bigamoi come prassi della Chiesa. Non per punire l’uomo ma per far rendere conto a lui la distanza fra lui e Dio che ha provocato il peccato. Una distanza che deve essere colmata con la penitenza e la consapevolezza per non ripetere di più lo stesso errore.
“Concedendo allora una nuova possibilità a chi si sposa per la seconda volta”, afferma Palmieri, “la Chiesa Ortodossa non intende abbassare l’ideale all’altezza di chi è più debole, ma vuole offrire un’opportunità di continuare a tendere verso l’ideale anche a chi ha dimostrato attraverso i propri fallimenti di essere irreversibilmente non in grado di raggiungere l’ideale. Essa infatti è consapevole che il matrimonio, come ogni esperienza cristiana, è in bilico tra il già e non ancora, tra l’ideale e il reale, tra la vita nuova donata in Cristo e la caduta di Adamo. Per il cristiano che in virtù della resurrezione di Cristo è già partecipe alla vita nuova, il matrimonio dovrebbe essere unico. Ma in questo tempo che ci separa dalla pienezza escatologica sono possibile cadute e fallimenti”. Giustamente allora J Prader afferma che “ l’essenza della disciplina ortodossa (nei riguardi delle seconde nozze) risiede in questa tensione apparentemente paradossale tra l’appartenenza a Cristo e l’essere radicato all’umana consapevolezza”.
PERCHE’, SECONDO GLI ORTODOSSI, LA SOCIETA’ DI OGGI NON RIESCE A RIMANERE FEDELE AL MODELLO DELLA FAMIGLIA DI UN UOMO E UNA DONNA CHE SI AMANO, COME GESU’ AMA LA CHIESA E MODIFICA L’IMMAGINE DELLA FAMIGLIA.
L’uomo oggi purtroppo non riesce ad amare l’altro imitando la totalità dell’amore con cui Gesù ama la Chiesa perché è caduto nel peccato, che consiste, come abbiamo visto, nella passione della personalizzazione. L’uomo, come persona si è appropriato della natura e di tutti i suoi movimenti e gli ha trasformati in movimenti individuali, spaccando la natura e portando l’interesse personale. Così anche l’amore si è trasformato in amore legato alla soddisfazione dell’io, un amore che cerca il proprio interesse. Non può capire e gli sembra illogico ciò che ha detto l’apostolo Paolo: “l’amore non cerca il proprio interesse”.
Prima della caduta Adamo conosceva l’Eva perché aveva le stesse volontà, gli stessi pensieri e lo stesso atto con Eva, la quale era “carne della sua carne o ossa delle sue ossa”, come era nella Trinità. Ciò che il Padre vuole, lo vuole anche il Figlio e lo Spirito perché la volontà e tutti i movimenti della natura divina sono gli stessi. La natura poi dell’uomo, era bella e ornata di ogni virtù da Dio e si muoveva liberamente verso Lui. Vuol dire che Adamo e Eva si muovevano naturalmente verso Dio e prendevano da Lui ogni cosa. La natura dell’uomo era logica perché “aveva appetito verso la conoscenza”, non possedeva la conoscenza, come la natura di Dio, e si muoveva naturalmente verso Dio per estinguere la sua fame di conoscenza. Così l’uomo conosceva se stesso e gli altri, come volontà di Dio, come realtà assoluta. Poi attivamente dava conoscenza a tutto il mondo che l’uomo era destinato a regnare, essendo l’unica natura logica della creazione. Con la caduta voleva conoscere il mondo, indipendentemente da Dio, e voleva diventare Dio senza l’aiuto di Dio, in un modo autonomo, cosa impossibile perché l’uomo non aveva il principio della vita nella sua natura, ma era semplicemente una creatura. Ecco perché con la caduta l’uomo si perde in un mondo estraneo che non conosce più e cerca di sopravvivere, conoscendolo autonomamente. Si perde l’uomo e perde qualcosa. Perde anche la conoscenza di se stesso e dell’altro, suo simile. Cerca di formare la conoscenza con le immagini che crea nel suo cervello, dal mondo e dall’ambiente circostante, immagine che a volte possono essere ingannevoli perché legati all’interesse individuale, sociale e culturale. Ecco perché ogni conoscenza scientifica dell’uomo non è mai assoluta.
“Tutto quello che è l’essere umano lo possiamo chiamare come necessario inganno. Dal momento che nasciamo fino alla morte abbiamo un’idea di noi basata sulle immagini. Queste immagini ci provengono dall’ambiente familiare, dalla scuola, dallo Stato, dalla televisione”(ETICA DEL PROGETTO, ORDINE DEGLI ARCHITETTI P.P.C. DI CASERTA, articolo di G. KARALIS, P.13).
Le immagini della società attuale vengono continuamente modificate, anche a causa della realtà virtuale che nel nostro tempo cambia le immagini velocemente.
“La società di oggi modifica le nostre immagini con una rapidità sorprendente, talmente veloce che spesso ci confonde. Ciò distingue la nostra epoca dalle altre: prima i cambiamenti avvenivano più lentamente, oggi molto più velocemente. “Nasce una domanda. Tutte queste immagini sono reali? Rappresentano la verità o sono convenzionali, cioè virtuali? Per comprendere dobbiamo fare un esempio: cosa pensavamo prima della scoperta dell’America? Che gli indiani erano incivili, che siamo andati noi a portare la civiltà e a sviluppare l’America. Così ci hanno insegnato i libri e anche i film del cinema che vedevamo in televisione. Dopo un revisionismo storico, altri tipi di film e libri, scopriamo che gli indiani non erano poi tanto “incivili” e che abbiamo fatto…tanti massacri. Non erano tanto gli indiani ad uccidere i coloni, quanto il contrario. Non eravamo presenti noi di persona, dunque tutte le nostre informazioni ci venivano dalla cultura dominante, dai libri, dalla televisione e dal cinema. Adesso queste immagini sono cambiate velocemente. Molti diranno: siamo più vicino alla verità! Ma è una risposta frettolosa. Siamo più vicini a cambiare e a modificare velocemente le nostre immagini. Ma la verità dove sta?
Io sono Greco, penso che la cultura greca abbia influenzato tutto il mondo civile. Tutto quello che io sono comprende tutte queste immagini che mi sono date dall’ambiente familiare, dalla scuola, dallo Stato greco, dall’Europa, dalla televisione, dal cinema, dal computer. Ma sono reali? Io cosa sarò senza queste immagini?
La moglie di Altiero Spinelli, padre dell’Europa, era tedesca. Poi, negli anni della seconda guerra mondiale, scopre di non essere tedesca, ma ebrea. Tutto quello che essa credeva fosse il suo mondo scompare, viene modificato il suo modo di essere perché le immagini vengono cambiate. Lo stesso succederà a me se ad un tratto scoprirò che non sono greco, non appartengo al mondo greco, ma magari turco. Tutto quello che io credo di essere, la mia personalità anche profonda allora si modificherà.” (ETICA DEL PROGETTO,ORDINE DEGLI ARCHITETTI P.P.C. DI CASERTA, articolo di G. KARALIS, P.13).
L’ ambiente e la cultura dominante influenzano il comportamento umano.
Il pericolo individualista e il rischio di vivere in chiave egoistica sono rilevanti.
Per questi motivi la persona umana viene definita un necessario inganno. “Necessario perchè la società e noi, abbiamo bisogno per la nostra convivenza di questo inganno”(ETICA DEL PROGETTO, ORDINE DEGLI ARCHITETTI P.P.C. DI CASERTA, G. KARALIS, A.Pieralli, G. Salvatori, D.VARGAS, 6 FEBBRAIO 2015, P.16).
Una delle conseguenze di questi continui mutamenti è questa: una società modificando le immagini può allora anche cambiare l’etica.
E’ cambiato anche il volto della famiglia “tradizionale”.
Il matrimonio sin dalla creazione del mondo era previsto tra un uomo e una donna. Tutta l’etica del matrimonio era contenuta in queste due figure, perché cos’ il Dio creò il mondo. Oggi questa etica cambia grazie ai mass media (tv, giornali, internet..).
Ai nostri giorni le famiglie allargate sono considerate la normalità e comprendono più genitori anche dello stesso sesso. Anche lo stesso sesso (chiamato gender per la società di oggi) non viene ritenuto un dato oggettivo e naturale, ma un dato soggettivo, quinti modificabile anche più volte nella vita…
In mezzo a questa “confusione” d’immagini l’uomo chi è veramente, quale è la sua vera identità?
“Veramente pochi esseri umani oggi riescono a concepire la sconvolgente importanza che ha un fatto, quello che da solo ha posto le condizioni storiche della Nascita di Cristo. Molti Cristiani non immaginano neanche il ruolo che ha giocato il “dogma (decreto) di Cesare Augusto” nella venuta di Cristo in mezzo a noi in un tempo e in un luogo determinato. Il decreto per il censimento di “tutta l’Ecumene (Mondo)” è stato il pretesto per coprire la venuta del Logos come un essere umano nel nostro pianeta. Non esisteva un’occasione più importante di questa, per Colui che voleva presentarsi in mezzo a noi senza tante baraonde e voleva vivere con noi non soltanto come uno fra noi, non come un individuo in mezzo a tanti milioni, ma come il reale e incontestabile io di tutti noi, la stessa nostra identità.
Da sempre voleva unirsi con noi. Per questo ci ha plasmati a Sua immagine. Come allora nella Sua stessa Natura la Moltitudine non rovina l’unità, ma viene sottoposta ad essa – così che noi non crediamo in tre Dei ma ad uno, indivisibile e inseparabile Dio nelle sue Ipostasi – del tutto similmente Colui, l’uno e Unico Dio ha creato una e una sola umanità. Perché ha dato l’impronta in quest’umanità dell’Una e Unica Immagine di Se Stesso, preannunciando così che un giorno avrebbe preteso il ritorno della Sua Immagine al Suo Archetipo. Per questo allora ha scelto con censimento, di far divenire realtà il Suo piano. Era la prima volta nella storia, dopo Babele, che questa umanità cercava di superare il virus letale della frammentazione e della divisione e di cercare di plasmarsi di nuovo in un’unica Immagine per poter vedere finalmente il suo vero essere. Certo, la prova veniva data da un persona non adatta, da Cesare, uomo con una mentalità del tutto fasulla: che i sudditi, cioè, appartenevano a lui, erano una sua proprietà privata. In quel tempo allora apparve Lui, che da sempre è stato il nostro Archetipo, per ricordarci, discretamente e nel tempo adatto, che ogni copia originale porta scritta in essa l’immagine e il timbro del suo legittimo proprietario (Matteo, 22-20). Diventa visibile (perché non esisteva nessuna possibilità di perdere nessuno di questi piccoli) nel momento in cui tutti correvano per determinare la loro origine umana, in tal modo si definiva logicamente che erano servi di Cesare, in quanto con l’unico criterio sono nati nella sua giurisdizione. E’ nato nella stessa giurisdizione per mostrare come è originale l’Immagine e il timbro che portano secondo natura i suoi servi e per questo non possono essere comprati da nessuna Sua imitazione, quali sono gli ingannevoli dominatori politici e spirituali, comunemente noti come Capi religiosi o Cesari di ogni epoca, reali o intellettuali.
Questa appariscente dipendenza fisiologica “dagli schemi di questo mondo” veniva a contestare un Dio uomo, soltanto con la sua presenza silenziosa: “non litigherà, né griderà, né nessuno sentirà nelle piazze la Sua voce”. La Sua logica era semplice. Appena apparirà l’archetipo, le tante parti dell’immagine Umana avrebbero rinnovato la loro proprietà primordiale che consisteva nel correre per trovare la loro vera pienezza “In LUI” (Col 2,10), abolendo ogni egoismo e appropriazione della natura comune, che fino ad ora le teneva in isolamento personale e faceva diventare senza senso la loro esistenza che si attuava come comunione della natura. Che autocoscienza può avere un’unica e insostituibile parte, se non sospetta che appartiene in un’Immagine? Come non può desiderare l’unione che realizza la sua vera identità? Desiderio di tutta l’umanità, invincibile attrazione di ritorno in noi stessi dal momento che “Lui” “si è innalzato dalla terra” inchiodato su un legno come estrema espressione di kenosis (svuotamento) poiché doveva arrivare la pienezza del tempo.
Dopo una presenza così dinamica sulla terra che continua già dal tempo del censimento a rimanere inosservata, silenziosa e reale, non risulta per niente strano che oggi esistano tanti cristiani e soprattutto teologi che cercano di trovare ancora la “perduta” identità umana, ma anche l’identità di Dio nascosto nella carne umana (Colui che rimane ininterrottamente “nascosto anche nell’espressione”) e ancora peggio cercano ancora anche l’identità della Chiesa, della Nazione, della Civiltà, della Tradizione, cioè di ogni ombra che passa, di ogni sogno ingannevole di questo secolo. E questo succede perché continuano ad immaginare fino ad oggi che ogni specie di identità collettiva non è che una diversificazione di parte con caratteristiche concrete che possano e debbano essere definite, gridate dappertutto e imbalsamate come un deposito storico di un valore supremo, così che i barbari, come pure i nemici e coloro che non hanno la conoscenza, non possano mai avere accesso.
Di sicuro tutti questi ricercatori dell’identità non hanno mai capito nulla dello sconvolgente concetto del censimento di Cesare Augusto. Hanno paura ancora oggi della perdita d’identità, come se non fosse mai esistito e incarnato Cristo per noi esseri umani. Tremano che non siano mai alterate le loro diversità etniche, ecclesiastiche, culturali e per questo cercano sempre le loro riconferme continue. Si trasformano in terribili inquisitori per proteggere le loro diversità di gruppo di nazione e dei loro egoismi umani. Non sospettano che solo se viene abolita “la Parte” (1 Cor. 13,10) sopraggiungerà il Perfetto, l’Indivisibile e Colui che è Intero. Dimenticano pure che deve passare questo mondo, per arrivare il Regno Increato di Dio e per questo credono (come Cesare) che se trascrivono con cura tutti gli elementi della tradizione o della civiltà di uno stato, avrebbero assicurato la perennità nella moltitudine della forma di questo mondo che passa. O peggio di tutto, credono che l’attaccamento tipico a formule religiose o ad incontri di adorazione, possano da soli dare una identità reale a persone o gruppi, a qualche Chiesa o Nazione.
E’ caratteristico di un’estrema decadenza quello che tutti gli esseri umani cercano identità per tutti e per tutto, ignorando che la sola vera identità è segnata, senza che possa essere cancellata sopra di noi dall’inizio del mondo. Dio da sempre voleva che tutta l’umanità esistesse come Sua immagine e Timbro, perché aveva già deciso da sempre, di incarnarsi e di diventare la nostra identità che non possa essere mai cancellata con nessun mezzo nè oggi, nè ieri, sempre lo stesso attraverso i secoli. Per questo festeggiamo il Natale senza censire, come Cesare, le membra del Corpo di Cristo, perché non abbiamo nessun timore di cambiamenti dentro questo Corpo; al contrario conosciamo adesso, con la nostra esperienza, che Cristo si è mostrato estraneo alla corruzione e aspettiamo con pazienza il sigillo dell’incorruttibilità sopra i nostri corpi mortali.
Questa sarà il nostro secondo e ultimo censimento, che da oggi chiamiamo caratteristicamente “Seconda Presenza” e mentre crediamo che saremo noi quelli che si presenteranno di fronte a Lui, al contrario, piuttosto Lui si presenterà a noi e si unirà con noi mostrando così la sua vera identità, che comprende tutta l’umanità e diventerà “tutto in tutti”” (ETICA DEL PROGETTO,ORDINE DEGLI ARCHITETTI P.P.C. DI CASERTA, articolo di
- KARALIS pag 21-24 )
E la chiesa Cattolica fa eco:
“La sfida per la Chiesa è quella di aiutare le coppie nella maturazione della dimensione emozionale e nello sviluppo affettivo attraverso la promozione del dialogo, della virtù e della fiducia nell’amore misericordioso di Dio.
Il pieno impegno richiesto nel matrimonio cristiano può essere un forte antidoto alla tentazione di un individualismo egoistico.” (RELATIO SYNODI DELL’ASSEMBLEA Straordinaria del Sinodo sulla famiglia, ottobre 2014, nn.9-10).
LA FAMIGLIA: “CHIESA DOMESTICA”
Cristo “ama la Chiesa come sua sposa, e si è reso esempio del marito che ama la sua moglie come il proprio corpo” (Ef. 5,25-28)
(CONCILIO VATICANO II, cost.dogm. Lumen gentium DEL 21 N0VEMBRE 1964, 7 G)
Cristo è nato all’interno della Sacra Famiglia di Giuseppe e di Maria. La Chiesa è la famiglia di Dio.
“E’ per questo motivo che il Concilio Vaticano II, usando un’antica espressione, chiama la famiglia “Ecclesia domestica”- Chiesa domestica” ( Catechismo Della Chiesa Cattolica, N 2204. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1999).
E’ in seno alla famiglia che “i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l’esempio, i primi annunciatori della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo speciale”(CONCILIO VATICANO II, cost.dogm. Lumen gentium DEL 21 N0VEMBRE1964,11).
“Il focolare è così la prima scuola i vita cristiana e una scuola di umanità più ricca. E’ qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita” Catechismo Della Chiesa Cattolica, N 1657. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano,1999).
Il noto padre della Chiesa Clemente Alessandrino chiama il matrimonio “casa di Dio”.
Anche l’espressione di Sant’Ignazio di Antiochia “dove c’è Cristo, lì è la sua chiesa ”evidenzia la natura ecclesiale della comunità coniugale.
Infatti non è un caso che nel vangelo di Giovanni(2, 1-11), il primo miracolo compiuto da Gesù avviene durante le nozze di Cana. “Per la sua stessa materia – acqua e vino – prelude al Calvario e preannuncia la nascita della chiesa sulla croce: dal fianco squarciato uscì sangue ed acqua. Gesù sulla croce celebra il proprio matrimonio con la Chiesa. Il simbolismo accosta e apparenta il luogo del miracolo, le nozze, con l’essenza eucaristica della chiesa.”Catechismo Della Chiesa Cattolica, N 2204. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano,1999 p.160).
Amandosi l’un l’altro, gli sposi amano Dio e offrono a Cristo il sacrificio, il culto spirituale e tutta la loro vita coniugale.
San Giovanni Crisostomo ci offre questa bellissima conclusione:
“Il matrimonio è una misteriosa icona della chiesa”(In epistulam ad Colossenses: PG 62,387).
Nel matrimonio dunque gli sposi sono chiamati ad imitare l’Amore di Gesù per la sua Chiesa, amandosi totalmente come ha fatto Giuseppe, prototipo di Cristo, con i suoi fratelli rispondendo al loro odio con un amore senza limiti, proprio come Gesù ama da sempre tutti noi.
Solo in questo modo, compartecipando al patto di Cristo con tutta l’umanità, gli sposi riconosceranno l’uno nell’altra la vera Bellezza, quella bellezza che proprio non cambia.
Concludo con queste meravigliose parole di papa Francesco, pronunciate durante l’Udienza Generale del 17 dicembre 2014, con cui esorta tutti gli sposi Cristiani a tenere sempre presente come modello da seguire la famiglia di Nazareth:
“La famiglia di Nazareth
ci impegna a riscoprire la vocazione e la missione della famiglia,
di ogni famiglia.
E, come accadde in quei trent’anni a Nazareth,
così può accadere anche per noi:
far diventare normale l’amore e non l’odio,
far diventare comune l’aiuto vicendevole, non l’indifferenza o l’inimicizia.
E questa è la grande missione della famiglia:
fare posto a Gesù che viene,
accogliere Gesù nella famiglia, nella persona dei figli, del marito, della moglie, dei nonni…
Gesù è lì.
Accoglierlo lì, perchè cresca spiritualmente in quella famiglia”.
BIBLIOGRAFIA
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ANDREA PALMIERI: “Il rito per le seconde nozze nella Chiesa greco-ortodossa” di Anacleta Nicolaiana: Studi e Fonti dell’Istituto di teologia Ecumenico-Patristica Greco-Bizantina “San Nicola” della facoltà Teologia Pugliese –Bari
NUOVO DIZIONARIO DI TEOLOGIA: a cura di Giuseppe Barbaglio e Severino Dianich Voce Sacramentaria pagina 1354- 1360